Una donna per un uomo non è solo l’incarnazione del limite, ma è anche l’incarnazione di tutto ciò che non si può mai disciplinare, sottomettere, possedere integralmente, di cui la gelosia può dare, negli uomini, solo una vaga percezione.
Per questo Lacan distingueva nettamente i modi del godimento sessuale maschile e femminile (Achille e la tartaruga). Mentre il primo è centrato sull’avere, sulla misura, sul controllo, sul principio di prestazione, sull’appropriazione dell’oggetto, sulla sua moltiplicazione seriale, sull'”idiozia del fallo”, quello femminile appare senza misura, irriducibile a un organo, molteplice, invisibile, infinito, non sottomesso all’ingombro fallico. E’ di fronte alla vertigine di un godimento che non conosce padroni, com’è quello del corpo femminile, che non a caso Lacan definiva come Altro godimento, come un godimento anarchico, nomadico, eccentrico, che scatta la violenza maschile come tentativo folle e patologico di colonizzare un territorio che non ha confini. E’ chiaro per lo psicanalista che questa violenza – anche quando viene esercitata da uomini socialmente ritenuti “potenti” – non esprime solo l’arroganza del potere e dei forti nei confronti dei deboli, ma è generata da un’angoscia profonda, da un vero e proprio terrore verso ciò che non si può governare, verso quel limite insuperabile che sempre una donna rappresenta per un uomo.
Questa è del resto la bellezza e la gioia dell’amore, quando c’è: non l’unificazione reciproca, non il rispecchiamento della propria potenza attraverso l’altro, non la confusione dell’uno nell’altro. Per un uomo amare una donna è davvero un’impresa contro la sua natura fallica, è potersi gettare nel vuoto a corpo perduto, è amare l'”eteros”, l’Altro come totalmente Altro…
Massimo Recalcati, da “Il complesso di Telemaco”, 2013
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Nell’immagine: Mahé, “Nous aurons le visage de nos espoirs”, 2021