Epistolario

Lettera di Sandro Pertini a Umberto Voltolina

26.06.2023
Lettera di Sandro Pertini al cognato, Umberto Voltolina. 1952
Mio caro Umberto,
sono io che oggi avrei bisogno di conforto, di parole che diano la forza di credere ancora nella vita e negli uomini. Sto attraversando un momento penoso: delusioni ed amarezze vado conoscendo ed alla mia fraterna amicizia si è risposto con la slealtà più cinica. E tutto questo nulla sarebbe, se non vedessi il Partito in pericolo. Temo che la sua unità vada in frantumi e che, abbandonato dagli elementi più sani e più combattivi, possa domani svuotarsi di ogni contenuto classista e perciò socialista e diventi, quindi, anch’esso un insieme di clientele personali, un basso strumento del peggiore parlamentismo, trampolino dell’arrivismo e le ambizioni e la sete di guadagno di piccoli uomini.
Che sarebbe di me se questo accadesse? Che sarebbe della mia vita senza il Partito, unica mia vera ricchezza, ragione unica della mia esistenza?
Mi assale, talvolta, una disperazione da piangere, e ho i capelli bianchi.
Ora debbo far tacere la mia pena e pensare solo alla tua. Tu oggi conti, perché sei all’inizio del tuo cammino. Io, invece, lo sto terminando ed almeno lo terminassi bene, come bene l’iniziai.
Così questo tuo fratello maggiore a te si avvicina per vedere se gli è possibile di rasserenare il tuo spirito, onde tu possa veder chiaro in te stesso. E mi avvicino a te , come a tutti i giovani, con la stessa umiltà.
Si, con umiltà, Umberto, perché pure noi siamo responsabili del vostro tormento, dello smarrimento in cui vi agitate.
Gli anziani, di fronte alla gioventù di oggi, piena di tormenti, di contraddizioni, smarrita, che dubita di tutto e di tutti e non crede a nulla, pensano di risolvere il grave problema, affermando con una scrollata di spalle: “Gioventù bruciata.”
Ma chi l’ha bruciata? Chi ha bruciato la sua anima, facendone un deserto spoglio di fede, di fiducia e di speranza?
Noi anziani siamo i responsabili del dramma, che va soffrendo questa nostra gioventù.
Questa gioventù nata e cresciuta nel maledetto clima della guerra, in cui si è avuta una mostruosa inversione di tutti i valori morali; questa gioventù che dopo la guerra si è trovata dinanzi ai tradimenti, agli intrighi, all’egoismo e all’opportunismo degli anziani e che oggi si trova di fronte ad una società, in cui regna il malcostume, l’affarismo, la corruzione, il trasformismo.
Ed hai ragione: vi si chiede d’essere uomini e non avete conosciuto la serenità dell’infanzia e i sogni dell’adolescenza , così necessari ad alimentare nobilmente la vita.
E voi, giovani d’oggi, non avete ascoltata la parola dei maestri di vita, che ascoltammo noi: di Filippo Turati, di Antonio Gramsci, di Giovanni Amendola, di Piero Gobetti.
Dove sono oggi i maestri di vita d’un tempo? Qualcuno tenta, ma invano, di esserlo.
La sua voce è troppo fievole perché possa sovrastare l’urlo di questa umanità impazzita.
Oggi non esistono più, né per voi giovani, né per noi anziani, i maestri di vita di tempo.
Esistono solo dei rétori, dei politicanti e degli affaristi. E tutti hanno scelto a loro divisa il “Carpe diem”.
La tecnica sta toccando vette altissime, satelliti artificiali volteggiano intorno alla terra e tuttavia lo spirito dell’uomo sta arretrando.
Arretra a tal punto, che mentre l’uomo con la tecnica è intento a conquistare le stelle, il suo spirito, sconvolto dalla follia, pare stia scavando l’abisso, in cui l’umanità potrebbe precipitare senza speranza di resurrezione.
In questo clima vive, adesso, la nostra gioventù.
Sì, generazione, la vostra, diversa dalla nostra.
Ma pure noi, alla vostra età, patimmo dei tormenti.
Tu mi chiedi di parlarti di me quasi che questo possa donarti la forza per riprendere il tuo cammino.
No, Umberto, non sono e non sono mai stato un uomo “perfetto”. Quanti errori ho commesso nella mia vita e quanti difetti reco in me. L’animo mio è un impasto di bene e di male.
Anch’io, come te, ho sempre diffidato di chi si atteggia ad uomo “perfetto”.
Peraltro gli uomini, che alla perfezione si sono avvicinati, conobbero prima il male.
I più grandi e veri santi, prima di essere tali, furono grandi peccatori.
E vuoi sapere “che cosa mi teneva legato alla mia fede, quando ero in carcere; che cosa maledivo e cosa no”.
Vedi, Umberto, questa tua domanda piena di ansia fa risorgere dal fondo del mio animo un ricordo: mi rivedo, tanti anni fa, nella mia cella dell’ergastolo di Santo Stefano, un mattino di primavera. Il vento improvvisamente inondò la cella del profumo d’una ginestra cresciuta sul terreno pietroso dell’isola e fiorita quella notte. Quel profumo mi prese tutto, mi diede alla testa, mi sentii come ubriaco.
Era la primavera , la vita, Umberto; la vita che scorreva fuori dall’ergastolo, lontano dalla mia giovinezza…
Caddi sulla branda e piansi disperatamente, come un bambino.
Ero giovane, Umberto. Ed è tremendo, credimi, veder sfiorire, nella rinunzia, giorno per giorno, ora per ora, la propria giovinezza e sapere che questo bene prezioso non l’avresti ritrovato, uscendo di prigione.
Piansi e maledii…Poi mi rialzai, mi aggrappai alla mia fede e così ritrovai me stesso…
Anch’io, Umberto, nella mia vita ho bestemmiato e maledetto, come bestemmio e maledico oggi. Ma ho sempre tirato avanti, sempre, come avanti tiro oggi.
Vedi Umberto, mio giovane fratello ed amico, non si può insegnare ad essere uomini di fede, come non si può insegnare ad amare.
O credi o non credi, o ami o non ami.
Ed io sono stato e sono un uomo di fede. La mia fede mi ha salvato sempre e mi salverà pure adesso. Per essa uscirò da questa situazione tormentosa, per essa ritornerò a credere in me stesso e nell’umanità.
Tu mi chiedi “se la protesta può divenire fede”.
Per esperienza so che tutte le grandi fedi sono scaturite da una protesta.
La protesta rimane solo un atto negativo, se tu ti chiudi in essa e ad essa ti abbandoni; diviene sprone con un atto positivo, se fa sorgere dinanzi alla tua mente la visione d’un mondo diverso e migliore di quello, che neghi e che è causa della protesta stessa.
Di qui l’atto positivo, che consiste nel proposito di partecipare all’edificazione di questo mondo nuovo; di qui la fede.
Per me la dottrina socialista postula questo mondo nuovo e ne indica i modi e i mezzi per costruirlo. Tu mi chiedi “se il socialismo è prendere o donare”.
È un donare e un prendere reciproco; è la solidarietà umana realizzata sui principi della libertà e della giustizia sociale.
Sulla libertà, che non è come qualcuno stoltamente sostiene, una scoperta “borghese”, bensì è una esigenza immantinente dello spirito umano.
Sulla giustizia sociale, che impedisce al singolo di ignorare la collettività, di cui è parte, di pensare solo a se stesso e di seguire la legge del più forte, la legge della giungla; e lo sprona, invece, non a spegnere la propria personalità, bensì ad esaltarla nella solidarietà con gli altri membri della collettività.
Ascolta, Umberto. Io non voglio suggestionarti, perché tu scelga la mia dottrina: Se questo facessi, offenderei la mia dignità. Perché offende la propria dignità chi offende la dignità del suo vicino, cercando di violentare la sua coscienza.
Io ti sprono ancora e sempre ad essere un uomo libero anche se ciò dovesse costringerti a metterti contro di me, contro la mia fede politica. (Ci riconosceremo sempre nel nostro comune amore per la libertà).
Sii sempre, in ogni circostanza e di fronte a tutti un uomo libero e pur di esserlo sii pronto a pagare qualsiasi prezzo.
Ma tu cesserai di essere un vero uomo libero, per divenire solo un libero animale egoista, abbandonato ai suoi istinti, se non ti adopererai perché libero come te sia il tuo vicino e se un comprenderai che, agli uomini per essere liberi, è necessario prima di tutto che siano liberati dall’incubo del bisogno e se tu non ti preoccuperai perché i tuoi simili possano egualmente godere dei beni della terra.
E tutti gli uomini liberi possono cooperare a creare questo mondo nuovo, in cui lo spirito, non più incatenato dal bisogno, potrà liberamente elevarsi e attingere a vette più alte. In questo modo si adeguerà ai passi da gigante , che sta facendo la politica e la supererà, altrimenti ne sarà travolto e diverrà realtà la leggenda di chi fu vittima delle forze da lui stesso evocate.
È chiaro che il cammino da percorrere sarà duro e difficile. E cadremo, Umberto, malediremo e bestemmieremo, ma sapremo rialzarci e con ritrovata fede riprenderemo il nostro cammino.
Questo io ho fatto nei miei quarant’anni di lotta.
Ho bestemmiato , ho maledetto in questi giorni, ma so che tirerò avanti, come ieri, come sempre, tirerò avanti sino all’ultimo mio respiro.
E sino a quel momento ti sarò vicino, tuo fratello ed amico, ed insieme ci aiuteremo .
L’uno conforterà l’altro, l’uno aiuterà l’altro a rialzarsi se dovesse cadere.
Io ho la forza della mia esperienza, tu hai la forza della tua giovinezza, che sa intuire ciò che spesso non sappiamo intuire noi, perché abbiamo sul nostro animo molte incrostazioni.
E vivrai la tua vita e crederai in essa come sempre vi ho creduto io, Umberto.
È bella la vita, quando si ha, come tu hai, mente e corpo sani. L’amerai e sentirai quale dono prezioso essa sia, soprattutto quando, dopo questa vigilia di preparazione e di ricerca, avrai dato alla tua esistenza una alta ragione di essere.
Di questo sono certo. Ecco perché guardo al tuo domani più fiducioso di quanto non vi guardi tu stesso.
Così, mio giovane fratello ed amico, ancora una volta, parlando con te, ho ritrovato me stesso. E cercando di rasserenare l’animo tuo, ho rasserenato il mio.
Ti abbraccio.
Tuo Sandro

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