(Moor, informato dal figlio Franz, è deluso e inorridito dal comportamento dell’altro figlio Karl e decide di abbandonarlo al suo destino ma, convinto da Franz, lascia a quest’ultimo il compito di scrivergli…)
MOOR
Scrivigli, figlio mio. Ahimè, questo mi avrebbe spezzato il cuore! Scrivigli…
FRANZ (rapidamente)
D’accordo, allora?
MOOR
Descrivigli le mie mille lacrime di sangue, le mie mille notti d’insonnia. Ma non gettare mio figlio nel baratro della disperazione!
FRANZ
Non volete andare a letto, padre? Questi avvenimenti vi hanno messo a dura prova.
MOOR
Scrivigli che il cuore di suo padre… Te lo ripeto, non ridurre mio figlio alla disperazione. (Esce tristemente)
FRANZ (lo guarda allontanarsi ridendo)
Consolati, vecchio, non lo stringerai più al seno, la via gli è sbarrata, come il cielo è separato dall’inferno. Ti è stato strappato dalle braccia, prima ancora che tu potessi dare il tuo assenso. Sarei stato un deplorevole idiota, se non avessi avuto la capacità di strappare un figlio dal cuore paterno, anche se fosse stato trattenuto da uncini di ferro! Attorno a te ho tracciato un cerchio magico di maledizioni che non potrà mai varcare. Buona fortuna, Franz! Il figlio diletto è spacciato, il fitto bosco si dirada. Devo mettere a posto queste carte, qualcuno potrebbe riconoscere facilmente la mia calligrafia. (Raccoglie i frammenti delle lettere) Il dolore si porterà via in fretta il vecchio… Ma devo strappare l’amore di Karl dal cuore di lei, a costo di sottrarle metà della sua vita. Ho il diritto di essere sdegnato contro la Natura e, sul mio onore, lo farò valere. Perché non sono uscito per primo dal ventre di mia madre? Perché non sono figlio unico? Perché mi ha imposto il fardello di questa ripugnante bruttezza? Perché solo io? Come se, alla mia nascita, avesse a disposizione solo qualche misero avanzo? Perché mi ha regalato questo naso da lappone, questa bocca da negro, questi occhi da ottentotto? Io credo che la Natura abbia scelto ciò che vi era di più mostruoso tra tutte le razze umane e mi abbia foggiato di questa pasta. Dannazione! Chi le ha concesso il privilegio di accordare tutto all’altro, e di negare tutto a me? Come poteva essere sensibile agli omaggi di uno e alle offese dell’altro, prima della loro nascita? Perché una simile parzialità nel suo operato? No, no! Sono ingiusto nei suoi confronti. Ci ha dotati d’immaginazione e d’inventiva se ci ha deposti, nudi e miserabili, sulle rive di quel grande oceano che è il mondo. Chi ce la fa nuoti, e chi è pesante vada a fondo! A me non ha regalato un bel nulla e se voglio fare qualcosa di me stesso, devo provvedere da solo. Ognuno può vantare gli stessi diritti nei confronti delle cose più alte e delle cose più piccole: le pretese, gli istinti, le forze si annientano quando contrastano l’una con l’altra. Il diritto è la prerogativa del vincitore, e le leggi non sono altro che i limiti della nostra forza. È vero, sono stati conclusi dei patti in comune, per dare impulso al mondo. Che bella definizione! È proprio una moneta soddisfacente con cui si possono condurre traffici lucrosi, purché si sappia spenderla a proposito. La coscienza… oh sì, certo!, ecco un bellissimo spaventapasseri per cacciar via i passeri dai ciliegi, o meglio una cambiale redatta nei termini giusti per permettere a chi ha dichiarato fallimento di tirarsi d’impaccio in caso di necessità. Ah, non c’è dubbio, sono tutte lodevoli istituzioni per assoggettare gli imbecilli e il popolo sotto lo stivale, fatte apposta perché i furbi possano profittarne liberamente. Ah, sono proprio una buffonata, non c’è che dire! Mi ricordano le siepi con cui i miei contadini recintano astutamente i loro campi perché non ci possa entrare una lepre, nemmeno una sola, per carità! Ma il padrone dà di sprone al suo cavallo e passa tranquillamente al galoppo sul raccolto. Povera lepre! Che ruolo infimo e deplorevole quello di chi, al mondo, è costretto ad essere lepre. Ma il padrone ha bisogno di lepri! Quindi, passiamo oltre! Chi non ha paura di nulla non è meno potente di chi è temuto da tutti. Oggi è di moda portare i pantaloni con delle fibbie che si possono stringere o allargare a volontà. Secondo i dettami della nuova moda, ci faremo tagliare una coscienza su misura, con una fibbia che potremo allentare ogni volta che se ne presenterà la necessità. Cosa possiamo farci? Vedetevela col sarto! Ho sentito un sacco di storie a proposito di una cosiddetta voce del sangue, storie tali da far scoppiare la testa a qualsiasi brava persona… È tuo fratello! Traduciamo: è uscito dallo stesso forno da cui sei uscito anche tu, quindi per te deve essere sacro. Notate ancora, vi prego, che assurda catena di cause ed effetti, che modo grottesco di dedurre dalla parentela dei corpi l’armonia degli spiriti, dalla comune patria d’origine l’affinità dei sentimenti, dagli stessi cibi alle stesse disposizioni! Ma proseguiamo: è tuo padre! Ti ha dato la vita, sei la sua carne e il suo sangue, e per te dev’essere sacro. Ecco un modo di pensare rigidamente conseguente! Tuttavia io chiederei: perché mi ha generato? Non certo per amor mio: io non esistevo ancora. Mi ha conosciuto prima di generarmi o pensava a me, generandomi? Mentre mi generava, desiderava proprio me? Sapeva ciò che sarei diventato? Non glielo auguro, perché in caso contrario dovrei punirlo per avermi dato la vita. Posso essergli grato se sono nato maschio?
Tanto poco quanto potrei accusarlo se fossi nato femmina. Posso correttamente valutare un amore che non si fonda sull’apprezzamento della mia personalità? E questo apprezzamento poteva esistere dal momento che la mia personalità doveva nascere solo per mezzo di quell’amore di cui era il presupposto? E allora dov’è il sacro? Forse nell’atto che mi ha messo al mondo? Come se questo atto fosse diverso da un processo bestiale volto a soddisfare una concupiscenza bestiale? O forse sta nell’esito ultimo di questo atto, che in fondo è solo una necessità irrevocabile, di cui si farebbe volentieri a meno se non ci andassero di mezzo la carne e il sangue? Devo forse trattarlo gentilmente perché mi ama? Questa non è che vanità da parte sua, ovvero il peccato prediletto da ogni artista che amoreggia con la sua opera, per quanto ripugnante. Guardatela bene: eccola qua la stregoneria che voi velate di una nebbia sacra per sfruttare i nostri timori! O dovrò proprio farmi menare per il naso, come un ragazzino? Su, coraggio, mettiamoci al lavoro! Svellerò alla radice tutto ciò che per me costituisce un ostacolo e mi inibisce di essere il padrone. Il padrone! Ecco cosa devo diventare, se voglio ottenere con la forza ciò che non può offrirmi quell’amabilità che non possiedo.
Johann Christoph Friedrich von Schiller, da “I Masnadieri”, 1781, Atto I, fine scena prima
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Immagine tratta dal sito della Scuola dell’Opera del Teatro Comunale di Bologna