Epistolario

Rainer e Catherine

03.07.2023
Rainer Maria Rilke a Catherine Pozzi
Attualmente: Hotel Hof Ragaz Svizzera, 7 luglio 1924
Cara Signora,
sembra che non sarò a breve a Muzot; ho mandato a prendere la mia posta e ho aperto per prima la vostra lettera… (Che vantaggio sottile e immeritato ‒ mi sono detto ‒ che potere, questa volta, riconoscere già la vostra calligrafia: la sorpresa non è minore rispetto alla prima lettera, ma qui c’è ritmo!).
Avete ragione, non sono così sorpreso dalle vostre condizioni d’animo; mi sembra che ciascuno di noi riporti in questo mondo in fuga alcuni elementi di tutt’altra misura che non riusciamo a conciliare con le modalità del presente. Io stesso, vivendo intensamente il reale, a volte mi sembra di vedere scomparire, uno dopo l’altro, quelli a cui avrei potuto attaccarmi, e mi sento sopraffatto dalla continua esperienza di un cambiamento troppo rapido. Ma il nostro stato umano non ci obbliga ad acconsentire con gioia a tutto ciò che cambia? E poi, questo cambiamento arrogante è davvero di tale importanza? In questo mondo che si vanta della sua velocità e versatilità, i valori primari, a forza di essere sfruttati male, non hanno perso né grandezza né pericolo. Le poche costanti che ci fanno gravitare, persistono, intatte, e accanto a loro le mille infedeltà sembrano ben futili. Dovremmo intravedere un mondo per sempre rassicurato da queste apparenze contraddittorie e, oltretutto, mal saldate tra loro…Questo è ciò per cui sto lottando, e può darsi che l’inflessibile solitudine di Muzot che terribilmente insisteva intorno al mio cuore, mi abbia aiutato molto. Tuttavia, dopo aver sopportato tre lunghi inverni di completa solitudine nella mia vecchia torre, avrei un fortissimo bisogno di rimettermi di nuovo in contatto con i miei coetanei. Ammetto che in questo momento invidio un po’ il vostro stato di conoscere senza sforzo, con naturalezza, tutto ciò che Parigi (Parigi!) offre di meglio. E poiché appellate queste persone come luminose e felici, loro non possono (almeno ognuna presa separatamente) essere completamente del nostro tempo che è particolarmente infelice e che non brilla che per lo splendore della sua perdita. Dite di non capirli, questi contemporanei ‒ ma essendo luminosi e felici, la vista della loro presenza deve comunque, suppongo, trovare in voi una spettatrice assorta e talvolta commossa?
Nella seconda, ho capito, cara Signora, che le vostre lettere (se tanta è la vostra grazia di continuarle) mi saranno sempre preziose e care. All’inizio ho avuto paura di rispondere male; perché oltre all’affaticamento della mano, del corpo e un po’ anche dello spirito, ero sospettoso della mia penna. L’averla spinta a lungo verso traguardi immaginari, mi ha fatto temere di trattare gli esseri viventi come fossero immaginazioni.
Quanto a voi, Signora, ho promesso a me stesso di prendervi per una persona estremamente esistente e mai di scrivervi una parola che possa essere indirizzata a un sogno.
Cercherò ‒
R.M. RILKE
P.S. La principessa Marthe Bibesco sarebbe tra le vostre conoscenze? Ho sempre amato i suoi libri, e molti dei miei amici ammirano Isvor. Attualmente, il Pappagallo verde domina sulla mia tavola e mi aiuta ad «arredare» la mia camera d’albergo.
***
Catherine Pozzi a Rainer Maria Rilke
Parigi, 14 luglio 1924
Lieber Freund che non conosco, sono io, contrariamente a tutto ciò che mi promettete, che vi prego di considerarmi come un sogno. E pregandovi così, non faccio nemmeno letteratura: perché sono così poco viva da essere davvero a metà strada, tra realtà e fantasia. Perché sappiate subito quanto poco io rappresenti, preferisco confessarvi che sono quasi invalida, una di quelle persone che dicono in Inghilterra: «she’s a great invalid», il che significa che non hanno più parte in niente. Dopo una pleurite e due polmoniti, sono stata tubercolotica al punto da essere condannata a morte da molti medici, e nonostante il danno che credevano irreparabile si sia sanato da sé, sono rimasta così magra, così fragile e così debole, che la prossima raffica di vento leggermente forte, sarà la più forte. Vivo d’inverno al Sud per questo; trascorro soltanto quattro mesi l’anno a Parigi, e nessuno m’infastidisce chiedendomi della mia salute, perché preferisco riderci sopra.
«Ho una faccia sorridente, ha detto, scherzo con tutti quelli che incontro. Ho una ghirlanda sulla testa. E tutti i suoi fiori sono dolci; E così, mi chiami felice, ha detto». Vi ricordate? ‒ Ho pianto per questi versi quando avevo quindici anni, eppure, non ne sapevo il motivo. Non parlatemi mai di quello che vi sto dicendo qui, e che scrivo unicamente per illuminarvi su ciò che ho di spaventosamente precario. Sono una voce che risuona appena, caro Signore; un’ombra, un fumo, una morente, qualcosa che scomparirà dal vostro camino, non appena volterete le spalle.
Conosco Marthe Bibesco; difatti, è amica di mio fratello più che mia. Era incantevole quindici anni fa; ha spirito; i suoi smeraldi sono impareggiabili, e la sua cortesia esagerata. Non mi piace ricevere complimenti. Il Pappagallo verde non ha successo a Parigi ed è ingiusto; c’è lì dentro una delle cose più profonde scritte sull’amore. Ma senza dubbio il valore della vostra principessa è notevolmente diminuito da quello della sua rivale in letteratura Anna de Noailles, che sta conducendo una guerra… aspra.
Prendo un altro foglio, oppure no? Bene, lo prenderò, ne scriverò la metà.
Quindi: Noailles odia Bibesco; come odia qualsiasi donna che scriva o che sia bella. E si sbaglia di molto, perché si può essere intelligenti o belli diversamente da Anna, che possiede entrambe queste qualità. Quanto ai suoi versi, ve ne parlerò un’altra volta. Volete che la descriva? Lei è piccola, piccola (sono almeno ottanta centimetri più alta) (a prima vista, non ho misurato) molto bruna, molto pallida, ha l’occhio di un uccello. Ha anche una voce da uccello, ma selvaggia, senza modulazione, e sempre più acuta degli altri; e questa voce sfugge in cascate eterne dalla sua gola bianca, senza silenzio possibile, in parole torrenziali. Non esiste una voce in Europa che srotoli così tante parole. La pagina è finita e stavo per scrivere cose banali.
Quelli felici? Possono essere quelli. No, la gloria che invidierei sarebbe quella dello stadio, vedete, la gloria del corpo, la felicità del corpo. Ho vinto i campionati di St-Sébastien una volta, e ho cacciato inseguendo; la mia anima era molto più leggera allora di queste stanche membra di oggi, che non pesano nulla.
Ma, anima e corpo, portateli bene, caro Signor Rilke; e soprattutto stracciate le sciocchezze che vi mando, e che motivano unicamente la simpatia che ho per voi.
CATHERINE POZZI
I. Quando potrò leggere qualcos’altro da voi? P.V. mi ha portato via le vostre poesie, sono furiosa.
II. Anna de Noailles è alta almeno 1 metro e 50, ho mentito.
III. Paul Valéry sta bene, vi invierò la nostra fotografia.
Busta:
Signor Reiner [sic] Maria Rilke
Hotel Hof Ragaz
Ragaz
Svizzera
c.p. : Parigi / Place Chopin / 15.VII / 1924
Da “Non dimenticherò che mi avete teso la mano”, Carteggio tra Rainer Maria Rilke e Catherine Pozzi, a cura di Giorgio Anelli, 2023

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