“Non di solo pane vive l’uomo: di cos’altro ancora?”
“Sbagliamo a credere che la nobiltà del pane risieda nel fatto che basta a sé stesso e al contempo accompagna qualsiasi pietanza. Se il pane “basta a sé stesso” è perché è molteplice, non nel senso delle sue tante tipologie, ma per la sua essenza stessa giacché il pane è ricco, è vario, il pane è un microcosmo.”
“[Nel pane] si incorpora un’assordante varietà, come un universo in miniatura che svela le sue ramificazioni nel corso della degustazione. L’assalto, che di primo acchito si scontra con la muraglia della crosta, dopo che ha superato questa barriera resta sbalordito dalla remissività che gli riserva la mollica fresca. È quasi sconcertante l’abisso che c’è tra la scorza screpolata, a volte dura come pietra, a volte semplice manto che cede ben presto all’offensiva, e la morbidezza dell’interno che si raggomitola nelle guance con carezzevole docilità.”
“Le fessure della crosta sono come richiami al mondo campestre: sembrano solchi di aratro, e così ci troviamo a pensare al contadino sul far della sera, al campanile del paese, sono appena suonate le sette e lui si asciuga la fronte con il risvolto della giacca, fine del lavoro.”
“Chi non ha mai osato impastare a lungo il cuore del pane con i denti, la lingua, il palato e le guance non ha mai trasalito sentendo dentro di sé l’ardente esultanza della vischiosità. In quel momento ciò che mastichiamo non è più pane né mollica né dolce, ma un simulacro di noi stessi, del gusto che devono avere i nostri tessuti intimi che impastiamo con le nostre bocche esperte in cui la saliva e il lievito si mischiano in un’ambigua fratellanza.”
“Provincia, campagna, gioia di vivere ed elasticità intrinseca: nel pane c’è tutto questo, oggi come allora. Ecco perché il pane è il mezzo privilegiato grazie al quale perderci in noi stessi, alla ricerca di noi stessi.”
Muriel Barbery, da “Estasi culinarie”, 2000
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Nell’immagine in evidenza: Salvador Dalì, “Cestino di pane”, 1926