“Mi piaceva quel bambinone di mio marito, e lui mi amava, lo sapevo. Ma voleva essere un marito libero e mi rimproveravo di farlo tornare da me ogni volta che avevo bisogno di pagarmi la camera, il cibo, il telefono. Ci baciammo a lungo, coi calici di champagne in mano, e ci giurammo che ci saremmo amati per l’eternità. E restò nel mio letto… ma alle cinque del mattino mi ritrovai sola, mezzo addormentata. Aveva lasciato un bigliettino, e un disegno grazioso che era il suo ritratto: un clown con un fiore in mano, molto imbarazzato, un clown maldestro che non sapeva che fare del suo fiore… più tardi seppi che il fiore ero io, un fiore molto orgoglioso, quello del Piccolo Principe.
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Quella casa diventò la casa del Piccolo Principe. Tonio vi continuò il suo manoscritto. Posavo per Il Piccolo Principe e anche tutti gli amici che ci rendevano visita facevano lo stesso. Tonio li faceva impazzire di collera perché, una volta finito il disegno, non erano più loro, ma un signore con la barba, o dei fiori, o degli animaletti… Era una casa fatta per la felicità.
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Gide ci aveva offerto una prefazione per Volo di notte. Tonio era entusiasta, e anch’io. L’ammirazione di Gide, di Crémieux e di Valéry mi sembravano meritate.
Ma quando erano belle donne di Parigi a traboccare di ammirazione, mio marito arrossiva quasi, e allo stesso tempo impazziva per quei momenti. Allora il mio cuore cominciò ad arrossire di gelosia. Il mio sangue spagnolo si mise a bollire.
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Tonio arrivava a casa con fazzoletti pieni di rossetto. Non volevo essere gelosa, ma diventai triste. Mi dicevano: «Abbiamo incontrato Tonio in auto con due donne». Mi rispondeva: «Sì, sono segretarie della NRF che mi hanno offerto un passaggio mentre andavamo in casa editrice».
Parigi mi inquietava, ormai pensavo solo alle belle donne che lo assillavano.
Ah! È un mestiere, un sacerdozio essere la compagna di un grande creatore, un lavoro che si impara solo dopo anni d’esercizio… perché si impara. Ero una sciocca. Credevo di aver diritto anch’io all’ammirazione per la sua opera. Credevo che fosse di entrambi.
Che errore! Nulla per un artista è più personale della sua creazione: anche se gli si danno la propria gioventù, i propri soldi, il proprio amore, il proprio coraggio, non si possiede nulla.
È infantile dire: «Ah! Io ho aiutato mio marito». Innanzitutto non si sa se non è vero il contrario. Magari con un’altra donna lo scrittore avrebbe prodotto di più, sarebbe stato migliore. Di sicuro avrebbe potuto scrivere qualcos’altro. Certo, una donna aiuta un uomo a vivere, sempre, ma può anche rendergli il lavoro difficile. Ogni donna, dopo aver assistito a un’ora di conferenza di mio marito, sognava di essere l’amica, l’unica ammiratrice comprensiva e fedele del proprio autore preferito. Essere la musa del pilota di Volo di notte, del grande scrittore!
E in quei momenti bisogna tirar fuori la faccia da moglie e dirgli: «Marito mio, è tardi, torniamo a casa».
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Con lui avrei dovuto essere di pietra, non avrei mai dovuto aver sonno né rivolgergli la parola. A poco a poco finii per capire che era meglio lasciarlo andare da solo, dato che mi fidavo.
Come i bambini, pensavo “affidiamoci alla sorte”. C’è un dio per i bambini e per le mogli!
Ma Tonio si annoiava spesso nel corso delle sue serate da uomo libero, e mi chiedeva di telefonargli ovunque andasse.
«Chiamatemi, ve ne prego. Odio talmente tanto quelle chiacchiere, quelle conferenze, quelle cene. Ho già raccontato tutto… credetemi, moglie mia, preferisco perdere tempo che saliva. Poco importa che la padrona di casa si arrabbi perché mi chiedete di rientrare subito. Sapete che sono ben educato: se non chiamate, non posso tornare!».
Avevo preso l’abitudine di andare al cinema quando usciva, e di passare poi a prenderlo dai suoi amici. Ah! Mi sentivo molto furba. Si stancava tanto a uscire. Era invitato contro la sua volontà. Si sentiva obbligato senza sapere perché…
Era feroce e solitario. Ma amava anche la compagnia. Il suono del telefono gli faceva paura: alcuni amici gli parlavano per ore intere. Poi voleva riprendere le conversazioni iniziate la sera prima e interrotte alle tre del mattino, ed era ancora al telefono alle due del pomeriggio. Mangiavamo col telefono sul tavolo. Davanti a lui, mi sentivo davvero priva di risorse e perdevo ogni senso pratico. Una bambina.