Pensieri

Addio a Milan Kundera

12.07.2023
“Anch’io ho danzato in girotondo. Era la primavera del 1948 […]
Poi, un giorno, ho detto qualcosa che non dovevo dire, sono stato espulso dal partito e ho dovuto uscire dal cerchio.
È stato allora che ho capito il significato magico del cerchio. Quando si è allontanati da una fila, è ancora possibile tornarci. È una formazione aperta. Ma il cerchio si richiude, e per questo, quando lo si lascia, è per sempre. Non per caso i pianeti si muovono in cerchio, e la pietra che se ne stacca si allontana inesorabilmente, spinta dalla forza centrifuga. Simile a una meteorite staccatasi da un pianeta, io sono uscito dal cerchio e non ho finito, ancora oggi, di cadere.
Ci sono persone alle quali è dato morire durante la traiettoria e altre che si schiantano alla fine della caduta. E queste ultime (delle quali faccio parte) serbano sempre dentro di loro una sorta di segreta nostalgia per il girotondo perduto, perché tutti siamo abitanti di un universo nel quale ogni cosa gira a cerchio.”
Milan Kundera, da “Il libro del riso e dell’oblio”, 1980
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“I personaggi del mio romanzo sono le mie proprie possibilità che non si sono realizzate. Per questo voglio bene a tutti allo stesso modo e tutti allo stesso modo mi spaventano: ciascuno di essi ha superato un confine che io ho solo aggirato. È proprio questo confine superato (il confine oltre il quale finisce il mio io) che mi attrae. Al di là di esso incomincia il mistero sul quale il romanzo si interroga.”

 

Milan Kundera, da “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, 1986
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“Che la vita sia una trappola è una cosa che abbiamo sempre saputo: siamo nati senza averlo chiesto, rinchiusi in un corpo che non abbiamo scelto e destinati a morire. Lo spazio del mondo, invece, offriva una permanente possibilità di evasione. Un soldato poteva disertare e cominciare un’altra vita in un paese vicino. Nel nostro secolo, il mondo si è improvvisamente richiuso su di noi. L’evento decisivo di questa trasformazione del mondo in trappola è stata indubbiamente la guerra del ’14-’18, chiamata (per la prima volta nella Storia) guerra mondiale. Falsamente mondiale. Riguardava soltanto l’Europa, e per di più non tutta l’Europa. Ma l’aggettivo «mondiale» esprime tanto più eloquentemente la sensazione di orrore davanti al fatto che, ormai, nulla di quanto accade sul pianeta sarà mai più una faccenda locale, che tutte le catastrofi coinvolgono il mondo intero e che, di conseguenza, noi siamo sempre più determinati dall’esterno, da situazioni cui nessuno può sfuggire e che ci fanno sempre più simili gli uni agli altri.”

Milan Kundera, da “L’arte del romanzo”, “Dialogo sull’arte del romanzo”, Parte II, 1986
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“L’occhio è la finestra dell’anima, il fulcro della bellezza del volto, il luogo in cui si concentra l’identità di un individuo; ma allo stesso tempo è lo strumento che ci consente di vedere e che ha costantemente bisogno di essere deterso, inumidito, trattato con uno speciale liquido in cui è disciolta una determinata quantità di sale. Insomma lo sguardo, la cosa più meravigliosa che l’uomo possegga, subisce un’interruzione periodica, dovuta a un movimento meccanico di lavaggio. Come un parabrezza pulito da un tergicristallo. Al giorno d’oggi la velocità del tergicristallo si può anche regolare, in modo che fra un movimento e l’altro vi sia una pausa di dieci secondi – che è pressappoco, l’intervallo fra due battiti di palpebra.”

 

Milan Kundera, da “L’identità”, 1997

 

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“In greco, «ritorno» si dice nóstosÁlgos significa «sofferenza». La nostalgia è dunque la sofferenza provocata dal desiderio inappagato di ritornare. Per questa nozione fondamentale la maggioranza degli europei può utilizzare una parola di origine greca (nostalgia, nostalgie), poi altre parole che hanno radici nella lingua nazionale: gli spagnoli dicono añoranza, i portoghesi saudade. In ciascuna lingua queste parole hanno una diversa sfumatura semantica. Spesso indicano esclusivamente la tristezza provocata dall’impossibilità di ritornare in patria. Rimpianto della propria terra. Rimpianto del paese natio. Il che, in inglese, si dice homesickness. O, in tedesco, Heimweh. In olandese: heimwee. Ma è una riduzione spaziale di questa grande nozione. Una delle più antiche lingue europee, l’islandese, distingue i due termini: söknudur: «nostalgia» in senso lato; e heimfra: «rimpianto della propria terra». Per questa nozione i cechi, accanto alla parola «nostalgia» presa dal greco, hanno un sostantivo tutto loro: stesk, e un verbo tutto loro; la più commovente frase d’amore ceca: stýská se mi po tobě: «ho nostalgia di te»; «non posso sopportare il dolore della tua assenza». In spagnolo, añoranza viene dal verbo añorar («provare nostalgia»), che viene dal catalano enyorar, a sia volta derivato dal latino ignorare. Alla luce di questa etimologia, la nostalgia appare come la sofferenza dell’ignoranza.”

 

Milan Kundera, da “L’ignoranza”, 2000

 

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