Pensieri

Dialoghi col figlio

04.08.2023
Papà, che cos’è la politica?
Figlio. Papà, che cos’è la politica?
Padre. Qualcosa che riguarda il modo in cui sono organizzate le società degli uomini. Un pacchetto di regole, implicite ed esplicite, per la convivenza.
Figlio. Chi fa politica le accetta?
Padre. Le accetta, tentando di applicarle e di farle rispettare, colui che fa politica corrente, gestionale. Ci sono altri, però, che tentano di cambiarle.
Figlio. Con la rivoluzione?
Padre. Non sempre. Nella società democratica il cambiamento delle regole può essere ottenuto anche con il consenso. Nate all’interno di una classe o di una minoranza, idee percepite come giuste possono diventare «egemoni» indirizzando le scelte di tutti.
Figlio. Succede spesso?
Padre. Succede. Da noi è successo, ad esempio, attraverso le battaglie politiche contro lo sfruttamento dei lavoratori. A proposito di divorzio e di aborto, inoltre, o di parità fra uomo e donna.
Figlio. Papà, c’è un rapporto di qualche genere fra la politica e la felicità?
Padre. Ci ho pensato spesso e sono arrivato alla conclusione che un rapporto di qualche tipo c’è solo nelle fasi in cui ci si prepara ad un grande cambiamento rivoluzionario. Finché un’idea cresce, identificarsi con essa pone in uno stato di esaltazione che rassomiglia molto alla felicità: uno stato d’animo in cui bene o male coincidono con la felicità e l’infelicità dell’individuo. Lavorare alla realizzazione di un’idea, allora, è come preparare una festa.
Figlio. E dopo?
Padre. Con parole di Musil, «appena l’idea… ha ottenuto il potere e il suo adempimento non presenta più speciali difficoltà… incomincia un processo nel cui corso successivo la virtù e il vizio, per la provenienza delle stesse regole, leggi, eccezioni e limitazioni vengono a rassomigliarsi sempre di piú». Per il senso che do io alla parola, non c’è piú molto posto per la felicità, allora. Adesso cioè. I dubbi, dice Brecht, rallentano la digestione.
Figlio. Perché tante citazioni?
Padre. Non mi sento sicuro. Cerco appoggi.
Figlio. Papà, cosa fanno quelli che si sono esaltati intorno ad una idea quando l’idea si è affermata e ha esteso il suo potere?
Padre. Fanno cose diverse.
Figlio. Perché?
Padre. Perché sono diversi. Esaurita la spinta che li aveva resi uniti e simili reagiscono in modo molto diverso. In rapporto, forse, al loro grado di maturità interna: qualcosa che ha poco a che fare con l’idea e che molto ha a che fare, invece, con la loro storia personale.
Figlio. Spiegati meglio.
Padre. Ci sono, prima di tutto, le posizioni estreme: quelle di chi è arrivato a uccidersi perché non aveva piú nemici da combattere (il meccanismo psicologico è quello della depressione), quelle di chi ha continuato a vivere come se nulla fosse accaduto (il meccanismo è quello della negazione), quella di chi chiude il discorso e tenta di godersi la vita come se nulla ci fosse piú da fare (una forma diversa ma ugualmente potente di negazione). La gran parte delle persone, però, oscilla fra questi estremi, collocandosi in una situazione intermedia.
Figlio. Papà, che cos’è far politica oggi?
Padre. Se ne discute molto. Se ne è discusso molto, di recente, a Firenze, al congresso del Pci. Ci sono opinioni diverse. Su quello che si fa e su quello che si vorrebbe fare.
Figlio. Che cosa fate in realtà? Che cos’è stato fare politica per te, in questi anni?
Padre. Una via di mezzo fra il tentativo di gestione delle regole consensualmente stabilite e il desiderio (piú desiderio che tentativo) di cambiarle. Di cambiarne alcune. Di perfezionarle. Di attuarne sul serio altre. Discussione sul modo in cui le regole vengono gestite. Discussione sulle sottoregole applicative di regole certe ma passibili, in quanto poste ad un alto livello di astrazione, di interpretazioni diverse.
Figlio. È un modo di cambiare?
Padre. Non lo sappiamo ancora.
Figlio. Non deve essere facile.
Padre. Non lo è.
Figlio. Papà, qual è la cosa peggiore in politica?
Padre. La prevalenza degli interessi personali nascosti, spesso assai male, dietro discorsi sul bene comune. La malafede.
Figlio. Sono tutti in malafede i tuoi avversari politici?
Padre. Assolutamente no. Quelli in malafede sono, tutto sommato, una minoranza. Consistente, ma minoranza.
Figlio. E gli altri, quelli in buona fede? In che cosa sono diversi da te e dai tuoi?
Padre. Nella convinzione (loro ce l’hanno e noi no) di vivere in un sistema che va bene così come è; nel sentimento (loro ce l’hanno, noi no) di una fondamentale pericolosità del cambiamento.
Figlio. Ti senti amico con qualcuno di loro?
Padre. Sì.
Figlio. Che genere di amicizia?
Padre. Simpatia. Cordialità. Senza slanci, però. Manca, con loro, il sentimento che ti lega ai tuoi, la convinzione profonda di una giustizia ancora da realizzare attraverso uno sforzo di cambiamento.
Figlio. Il sentimento di quelli che preparano una festa?
Padre. La nostalgia, forse, del tempo in cui la si preparava. È un punto, questo, su cui mi sento assai perplesso oggi.
(in sogno, più tardi)
Figlio. Papà, mi piace molto questo tuo modo di pensare alla politica.
Padre. Ne sei sicuro?
Figlio. Ci trovo consonanze importanti col mondo che qualcun altro mi chiede di lasciare crescendo. Papà, penso a Freud che parlava della crescita come d’un processo in cui il bambino dovrebbe restare tale mentre gli si delineano intorno, dentro la sua stessa persona, travestiti da genitori, il principio di realtà e la consapevolezza sociale. Oppure a Musil che parla della bellezza suprema del momento in cui ancora il mondo ordinato e lucido degli oggetti razionalmente disposti si tiene ben separato e distinto da quello del pensiero affettivo sconvolto dalla particolarità dei sentimenti, delle passioni, e degli umori.
Padre. Cucciolo, perché tante citazioni?
Figlio. Non mi sento sicuro. Cerco appoggi.
Luigi Cancrini (psichiatra), da “Dialoghi col figlio”, 1987
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Nell’immagine: Un’inquadratura del film “Nebraska” (2013)

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