“…Il mio primo giorno da disoccupato comincia così. Sono le nove e mezzo di un nuvoloso lunedì mattina di fine settembre del 2004, e non ho nulla da fare.
Due settimane prima ho venduto il lanificio della mia famiglia, e come da accordi sono rimasto in azienda fino alla sera dell’ultimo venerdì per facilitare il passaggio di consegne tra i vecchi e i nuovi proprietari. Carmine mi ha aiutato a riempire delle mie cose una cassa per il filato, che poi siamo riusciti a caricare nella bauliera della mia macchina. Ci siamo salutati con un breve abbraccio, e sono andato a casa. Non ricordo cosa ho fatto nel fine settimana, se non continuare a pensare che è stata mia la colpa, se abbiamo dovuto vendere. Mi hanno detto che non è vero. Che è ingiusto e persino crudele. Che non è colpa mia, perché tenere in piedi un’azienda tessile in Italia nel XXI secolo non è un compito nemmeno lontanamente paragonabile a dirigerla negli anni ottanta e novanta. Che è saltato tutto, tutto il sistema, non solo la nostra ditta. Io sorrido, ringrazio, ma la ditta c’era, e ora non c’è più. L’ho venduta io, e stamattina non mi è nemmeno riuscito di passarci davanti in automobile. Un futuro c’era, e ora non c’è più. Anche quello ho venduto, e a tre lire. Di chi è la colpa, allora? Del mondo cattivo?
Mi sa che andrò avanti così per un bel po’ di tempo. Per anni, forse. Pugnalato da queste domande di cui son certo di sapere la risposta, sconfitto, cazzottato dai sensi di colpa, sminuito, incattivito, vuoto, incapace di spiegarmi l’assenza di significato di tutto ciò che mi si parerà davanti ogni mattina – perché qui, fuori da questo bar dal quale sono appena uscito e certamente non rientrerò mai più, ho bell’e capito che sono e saranno le mattine il peggior momento della giornata, con quel loro spietato schiudersi verso il nulla. Il mio nulla.”
Guido Maria Brera e Edoardo Nesi, da “Ascesa e caduta del migliore dei mondi possibili”, in “Tutto è in frantumi e danza”, 2017
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In evidenza: Foto di Sonia Simbolo