Affabulazioni

Scende giù per Toledo

30.08.2023
«Tu pensa a un altro». Glielo disse Sayonara, una delle prime conoscenze della vita pubblica, non amica. L’unica sua, è Marlene Dietrich. Amicizia e protezione.
«E figlia mia, ti credevi che nella vita è permesso solo ciò che piace? Non sarebbe vita, sarebbe paradiso. Quando stai sotto a uno che ti paga, immaginatene un altro».
«A me viene voglia di sputargli in faccia».
«E te la fai passare. Pensa a chi t’ha fatto godere». Sayonara ha un attimo di cupezza. «Tu sei giovane, fresca – io mi sono scordata pure dei ricordi».
Questa Sayonara, secondo Rosalinda Sprint, è una fanatica: tiene banco in mezzo alla Litorania a voce così alta, che tutti la devono ascoltare, e le parole le attacca una all’altra senza una pausa che non fai a tempo a staccarle con l’orecchio, tu che la stai a sentire, per afferrare che dice – mezze se le mangia mezze le perdi, che ti resta?
«Per favore vuoi ripetere – ti sei capita tu e tu», fa Rosalinda Sprint quando un discorso la interessa; Sayonara non chiede di meglio e riattacca allo stesso ritmo. Continueresti a non capire se non fosse per il fatto che a un discorso confuso, ripetuto una seconda volta, ci fai l’orecchio, e un po’ di più ne afferri, ecco tutto. Si conoscono i primi giorni che vive da sola, uscita ancora zoppicante dall’ospedale – va in giro col bastone – e anche se l’ha aiutata e consigliata in un momento davvero brutto, questa rimane una scocciante che a ogni cosa che le chiedi, a ogni cosa che succede, a ogni cosa che devi risolvere, tira fuori l’esempio di un’altra cosa capitata a lei.
«Anche a me, cara, sarebbe piaciuto tenermi Elia – per la vita. Unico amore. Vero. Avevo l’età tua. Era un sardo che stava in Sardegna. Mi poteva seguire, me lo potevo portare appresso? Sì, domani! Aveva moglie e figli, non sapeva neppure dove stava il continente. Un cuore e una capanna? Sì, domani! Lavoravo per mantenere lui? E lui si faceva mantenere da me? Troppe complicazioni per un semplice che non parlava. Abbiamo fatto ogni cosa senza aprire bocca – era bello, bellissimo, un Cristo di legno (non soltanto la faccia, intendiamoci, scolpita nel legno). Allora mi chiamavo Mimì Bluette, il nome l’ho cambiato dopo il film di Marlobbrando, è più moderno, Sayonara, e mi sta bene, mette in evidenza l’occhio a mandorla, no? Gli occhi sempre gli occhi mi baciava Elia. Passavo per andare a teatro – stavo con l’avanspettacolo – e mi guardava, alto appoggiato al muro, ero giovane, fresca, vestita allegra, mi guardava e non diceva una parola. Io, subito notato – favoloso. Trentott’anni, mica un giovanottello, uno che Gary Cooper si poteva andare a nascondere. Ah, non ti muovi?
Aspetta che mi muovo io: “Non hai la lingua?” dico. Lui abbassa gli occhi. “Se non mi puoi parlare e ti piaccio tanto, per lo meno un fischio dietro me lo potresti fare”. Sì, domani! Un fiato non esce da quella bocca. Mi allontano scornata. Tuttosommato che ne sapevo di che razza sono i sardi… Passano due giorni, non si mostra, il terzo, di nuovo sta all’uscita degli artisti, alto appoggiato al muro. Non esitai, lo prendo per mano, zitta e muta, e lui senza fiatare mi segue. La compagnia tornò a Napoli, io restai due mesi là a mangiarmi quei quattro soldi che avevo da parte. I soldi che ho speso più volentieri in vita mia. Era un cane fedele, non so in che modo la metteva con la famiglia certo stava solo appresso a me – là le mogli le chiudono in casa e guai a loro. Mi portava in barca, sulle spiagge solitarie, al largo… ci vedevano insieme, nessuno diceva niente, mi pareva che avessero soggezione di lui che si permetteva ogni cosa. Quando partii piangeva. “Elia, non fare così, ci scriveremo”. Non mi rispose. A Napoli non riuscivo a togliermelo dalla testa – potevo ritornare in Sardegna? Sì, domani! Scopavo con gli altri e pensavo solo a Elia, mi dava conforto, mi aiutava – in seguito una s’incallisce e non ce n’è bisogno. Sembra a te che fai le stesse cose sia con quelli che ti pagano sia con chi ti piace o che tu ami – sì, domani! Sono cose diversissime. Scrivo, riscrivo, non ricevo un rigo. Torno a scrivere, niente, silenzio. Che razza strana, pensai, un cane se ci stai vicino, da lontano una iena. Passano tanti mesi, un giorno mi arriva una busta dalla Sardegna. Dentro c’è un pezzo di carta straccia e sopra c’è scritto, a grosse lettere storte, per mano d’un bambino: “Non so leggere”»
Per poco Rosalinda Sprint non scoppia a piangere.
«Il foglio era spappolato e moscio, ch’era chiaro – l’aveva spugnato di lacrime».
Questi racconti la fanno star male perché si convince meglio che l’amore dovrebbe essere un tesoro privato, nascosto, sul quale non deve agire nessuna ragione d’interesse. L’amore non deve avere niente a che fare con la moneta.
Giuseppe Patroni Griffi, da “Scende giù per Toledo”, 1975
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Nell’immagine: Henri Gervex, “Rolla”, 1878

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