Il primo è una boxer, di nome Tromba. Donde il vezzeggiativo Trombettina e l’abbreviazione Bettina, che comunemente si usa. Peccato che le abbiano tagliato male le orecchie, le quali pendono come quelle di un pipistrellino, ciò che non basta ad offuscare la sua sinuosa e provocante bellezza.
Creatura misteriosa, come sono troppo spesso le donne. Ha cinque anni. O sei? Preferisco non appurare. L’età dei cani fa paura. Vivono troppo poco. Vivono troppo meno di noi. Siamo costretti a vederli morire.
Il secondo è un boxer, di nome Napoleone III, però il terzo, nei discorsi familiari, viene per lo più tralasciato. È di ottima razza ma eccessivamente prognato, vale a dire la mascella inferiore è troppo sporgente. Per le sue forme e il suo comportamento, definirli sconcertanti è dire poco. Simpaticissimo e candido. Non ha ancora compiuto un anno. Di stupidità commovente.
Il terzo è un bulldog di nome Cicci, inglese. Ha appena compiuto tre mesi e sta tra l’ippopotamo, la cornamusa, il baule e gli angiolini di Raffaello Sanzio. Chi lo vede ne resta attanagliato. Arriverà molto, ma molto in alto, lasciatemelo credere. Non dico Presidente del Consiglio, ma quasi. Io posseggo, e sono posseduto, da quattro cani morti e meravigliosi, forse non più belli degli altri cani defunti nell’eternità del passato, che onorano questa valle di lacrime, comunque molto meravigliosi.
Il primo è un piccolo barbone e si chiama Tobi. Morì di nefrite alla Clinica veterinaria di Milano, coperto da una piccola gualdrappa di lana; e i medici, benché scienziati, furono molto pietosi.
Il secondo è un boxer di razza dubbia e si chiama Napoleone. Era giovinezza e primavera. Morì sotto un’automobile.
Il terzo è un magnifico barbone e si chiama Tobi come il precedente. Era un cane di immense capacità spirituali, capace di prendere da solo il tram giusto per andare da piazza della Repubblica a piazza Piemonte, e viceversa. Il tutto senza pagare il biglietto.
Il quarto è Napoleone II, il cane cui ho voluto e voglio ancora più bene. Non era un genio, ma non saprei dire il perché, era un cane immenso. Era il Moloc, era il dio degli Atzechi, era Sua Maestà, era la vita. Anche lui è morto. Di lui non resta più nulla se non una breve macchia sul muro bianco, sotto il tavolino, là dove si accucciava quando era arrabbiato o malinconico.
In questi giorni ho fatto imbiancare la casa ma quella macchia ho voluto che non la togliessero. È l’ultima cosa al mondo che rimane di lui, povero Napoleone. Però io la guardo, questa macchia (più che macchia è un’ombra sull’intonaco bianco). Di giorno in giorno misteriosamente impallidisce. Il tempo si porta via anche quella. Maledetto.