Linguaggi

Papusza, poetessa rom

11.09.2023
Lacrime di sangue
“Nel bosco. Niente acqua, né fuoco. Grande la fame.
Dove avrebbero potuto dormire i bimbi? Non c’era tenda.
Non avremmo potuto accendere il fuoco la notte.
Di giorno, il fumo avrebbe avvisato i tedeschi.
Come vivere con dei bimbi nel freddo dell’inverno?
Tutti sono scalzi…
Quando decisero di ucciderci per prima cosa ci costrinsero ai lavori forzati.
Un tedesco venne a trovarci:
Ho cattive notizie per voi. Vogliono uccidervi stanotte.
Non ditelo a nessuno. Sono anch’io uno scuro zingaro,
del vostro sangue – dico la verità.
Dio vi aiuti nella nera foresta.
Dette queste parole ci abbracciò tutti…
Niente cibo per due tre giorni.
Tutti a dormire affamati.
Non riuscendo a dormire fissavano le stelle.
Dio, quanto è bello vivere!
I tedeschi non ce lo permetteranno.
Ah, tu, mia piccola stella! All’alba tu sei grande!
Abbaglia i tedeschi! Confondili,
portali fuori strada
così i bambini ebrei e zingari potranno vivere!
Quando arriverà il grande inverno,
cosa farà la zingara con il suo bimbetto?
Dove troverà dei vestiti? Sono tutti diventati stracci.
Uno vuole morire.
Nessuno sa, solo il cielo, solo il fiume ascolta il nostro lamento.
Gli occhi di chi ci videro come nemici?
La bocca di chi ci maledisse?
Non ascoltarli, Dio
Ascolta noi!
Giunse una notte fredda, le vecchie zingare cantarono
una fiaba zingara: verrà un biondo inverno,
la neve, come piccole stelle, coprirà la terra e le mani.
Gli occhi neri geleranno i cuori moriranno.
Tanta neve cadde che coprì la strada.
Avresti potuto vedere solo la Via Lattea nel cielo.
In questa notta gelida una piccola figlia muore,
e in quattro giorni le madri seppelliscono nella neve
quattro piccoli figli.
Sole, senza di te guarda che piccolo zingaro sta morendo di freddo
nella grande foresta.
Una volta, a casa, la luna restava nella finestra,
non mi lasciava dormire. Qualcuno guardò dentro.
Chiesi – chi è?
– Apri la porta, mia bruna zingara.
Vidi una bella ragazza ebrea,
che tremava di freddo e cercava da mangiare.
Povera creatura, piccola mia.
Le ho dato del pane, quello che avevo, una camicia.
Dimenticammo entrambe che non lontano c’era la polizia.
Ma non vennero quella notte.
Tutti gli uccelli stanno pregando per i nostri bimbi, così la gente cattiva, le vipere, non li uccideranno.
Ah, destino! Sventurata ventura
La neve cadde fitta come foglie, ci sbarrò la strada,
una neve così pesante seppellì le ruote dei carri.
Qualcuno dovette battere a piedi una pista,
spingere i carri dietro i cavalli.
Quanta miseria e fame!
Quanti affanni, quante strade!
Quante pietre aguzze hanno ferito i nostri piedi!
Quanti proiettili hanno sfiorato le nostre orecchie!
Bronisława Wajs, poetessa Rom, più nota come Papusza, “bambolina”.
“Zingarella povera, giovane,
bella come un mirtillo,
denti bianchi come perle,
occhi brillanti come l’oro vero.
Gli orecchini fatti di foglie, eccoli
Come oro genuino son belli”
(Papusza, da “Orecchino di foglia”)
Papusza nasce in un anno imprecisato, forse il 1908 o il 1910 – chissà – gli zingari non hanno calendario, perché regolano il loro del tempo sul ritmo delle stagioni.
Papusza nasce quando il “tabor” (carro) della sua kumpania (clan) si ferma a Lublino per una sosta. Sua madre è una zingara; del padre, invece, non si sa niente.
Il mio patrigno era un ubriacone e un giocatore d’azzardo, mentre mia madre non sapeva cosa significasse leggere o scrivere né cosa una bambina dovesse imparare. E allora come ho imparato? Chiedendo ai bambini che andavano a scuola di mostrarmi come scrivere le lettere. Rubavo sempre qualcosa e gliela portavo così poi loro mi insegnavano in cambio. Ed è così che ho imparato le lettere a, b, c, d e così via.
(Papusza)
Papusza adora leggere e, durante le soste del suo “tabor”, baratta polli o altre cose con chiunque la aiuti a farlo, incurante del disprezzo e dei divieti familiari.
Ha appena 15 anni quando viene venduta ad un vecchio suonatore di arpa, con il quale adotta un bambino, figlio di uno zingaro e di una ragazza gagi (non appartenente ai Rom), al quale viene imposto il nome di Tarzan.
In questa sua vita errabonda e grama, l’unica gioia è quella che le viene dalla poesia e dalla musica: Papusza, infatti, ha cominciato a scrivere e a cantare ballate, “canzoni uscite dalla testa di Papusza”, come lei stessa le definisce.
Non sono una poetessa, sono solo una zingara
del bosco, che vive di natura…
Sono felice quando sento cantare le ruote, quando sento la pioggia
che batte sul carro…
Questa è la mia musica e a volte le parole stesse lo diventano…
(Papusza)
Poi, inaspettato, l’incontro con lo scrittore Jerzy Ficowski, che, impressionato dal suo straordinario talento, ne traduce i versi in polacco e li fa pubblicare sulla rivista “Problemy”.
Per Papusza, però, questo è l’inizio di un altro calvario: i Rom diffidano di Ficowski, che sostiene la politica di sedentarizzazione forzata voluta dal regime, e per giunta accusano Papusza di aver tradito la sua gente. Il “Baro Shero”, ossia la massima autorità dei Rom polacchi, la dichiara impura e la espelle dalla “kumpania”.
Disperata, Papusza brucia tutte le sue poesie. Da questo momento, non scriverà più nulla.
Aspetto mio figlio. Verrà e mi porterà nel bosco, perché tutta la mia ricchezza è rimasta là. Esso era il mio palazzo per ripararmi dal vento e dalla pioggia…
Quando vado nel bosco, là capisco ogni ramo. E quando vedrò attraverso gli alberi il chiarore del lago, capirò anche questo chiarore…
(Papusza)
Gli ultimi anni della sua vita sono un tormento: l’ostracismo della sua gente, il senso di colpa, la miseria, la solitudine arrivano a minare la sua salute mentale.
Sono una stupida, se non avessi imparato a scrivere, sarei stata felice”.
(Papusza)
Di lei rimangono le 26 poesie tradotte in polacco da Jerzy Ficowski, che nel suo libro “I demoni della paura altrui. Ricordi zingareschi (1986)”, la saluta con queste parole:
Cara Sorellina,…so di aver contribuito alla tua notorietà e alla tua disgrazia. La prima in realtà non è per merito mio, la seconda non è in realtà per colpa mia. Ciò malgrado, oggi sento in me il peso della corresponsabilità per tutte le miserie da cui sei stata colpita, benché sappia che esse erano ineluttabili.
Perdonami, se puoi”.
Poesie di Papusza:
Canto del bosco
“Ah, miei boschi!
In tutta la grande terra
non vi cambierei con nulla
né con l’oro,
né con le pietre preziose,
le pietre preziose che
brillano così belle
e attirano la gente.
E le mie cime rocciose
le mie pietre sull’acqua
più care sono dei gioielli
che irradiano la luce.
Nel mio bosco di notte
sotto la luna
i fuochi ardono
e irradiano la luce
come pietre preziose,
che adornano le dita alla gente.
Ah, miei amati boschi,
che profumate di salute!
Che allevaste i giovani Zingari
come propri boschetti!
Il vento agita il cuore come foglia
e non c’è paura di nulla.
I bambini cantano,
sia che abbiano sete o fame,
saltano e ballano, perché
questo il bosco ha insegnato loro.”
***
Il bianco inverno è giunto
“Il bianco inverno è giunto,
la neve, come grande cuscino di muschio,
ha vestito tutti i verdi abeti,
ha piegato i loro rami.
Il cavallo sparge la neve coi quattro ferri
e il cuore si china
come i rami d’un piccolo abete.
In un cespuglio un gufo accovacciato,
sotto gli abeti gli uccelli –
come tenda li ripara la neve.
Il bosco come un sapiente,
non canta con i venti.
Scintille come stelle di brina
riflesse nelle pupille.
Oggi un uccello dorme tra gli sterpi
sotto la neve,
come un tempo il povero Zingarello
che oggi ha trovato una calda casa.
Un povero uccello sotto la finestra
intirizzito – chiede un po’ di pane.
Ah, è il mio fratellino del bosco!
Siamo cresciuti insieme nel bosco nero.
Gli darò un po’ di buon pane,
gliene darò a volontà.
Vieni qui da me, io verrò da te,
uccello poverino!
Preghiamo entrambi Dio,
che spunti un grande sole,
perché c’è tanta neve come soffice cuscino.
Uccello mio, qualcuno ha fatto per te
una calda casetta,
per non gelare sotto il cespuglio,
nelle grandi nevi,
dove non avevi
sogni sereni.”
***
Guardo qui, guardo là
“Guardo qui, guardo là –
tutto ondeggia! Il mondo ride!
Un mare di stelle di notte!
Ciarlano, ammiccano, brillano.
Le stelle! Chi le comprende
di notte non vuole prender sonno,
osserva la chiara Via Lattea,
sa che è una via felice,
che chiama verso luoghi buoni.
Guardo qui, guardo là –
la luna si lava nelle calde acque,
come giovane Zingarella
nel ruscello del bosco.
Che sta mai succedendo?
Tutto ondeggia.
Il mondo ride.”
***
Canzone
“Tra molti anni,
o forse non molti, prima,
le tue mani il mio canto ritroveranno.
Quando è nato?
Di giorno, o nel sonno?
E ricorderai, e mi penserai
è stata una favola,
o era tutto vero?
E i miei canti
e tutto il resto
dimenticherai.”
***
“O bosco, padre mio,
O bosco, padre mio,
nero padre,
tu mi hai allevato,
tu mi hai lasciato.
Le tue foglie tremano
e io tremo con loro,
tu canti e io canto,
ridi e io rido.
Tu non hai scordato
e io ti ricordo.
Mio Dio, dove andare?
Che fare, dove prendere
favole e canti?
Nel bosco non vado,
il fiume non incontro.
O bosco, padre mio,
nero padre!”
Bronisława Wajs (Papusza) – Traduzione di Paolo Statuti

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