Frammenti di una tavoletta di argilla decifrata da Edmund Bishop nel 1867
È l’ora senz’ombra.
Il dio Melkart veglia sulla precisione del mezzogiorno per il mare di Cartagine. Annibale è la spada di Melkart. I tre quintali di anelli d’oro dei Romani morti in Puglia, sei volte mille, sono arrivati al porto.
Quando l’autunno è nei grappoli sarà stato dettato il verso finale.
Sia elogiato Baal, Dio dei molti cieli, sia elogiata Tanith, espressione di Baal, i quali diedero la vittoria a Cartagine e che mi fecero ereditare l’ampio idioma punico, il quale sarà la lingua del mondo, i cui caratteri sono talismani.
Non morirò in battaglia come i miei figli, i quali furono capitani di battaglia e che non seppellirò, però a notte fonda innalzerò il canto di guerra e di esultanza.
Nostro è il mare. Che ne sanno i Romani del mare?
Tremino i marmi a Roma; hanno udito il rumore degli elefanti in guerra.
Dopo convegni interrotti e parole causidiche, siamo giunti a impugnare la spada.
Tua la spada adesso, Romano; la tieni conficcata in petto.
Ho cantato la porpora di Tiro, che è nostra madre. Ho cantato i lavori delle genti che scoprirono l’alfabeto e solcarono i mari. Ho cantato la pira della regina famosa. Ho cantato i remi e gli alberi e le tempeste difficili…
Jorge Luis Borges, da “I congiurati”, 1985 (Traduzione di Andrea Bianchi)
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Immagine in evidenza: Giorgio De Chirico, “La torre rossa”, 1913