sono precisamente le sette secondo l’ora italiana, ma a San Paolo devono essere le sei e trenta appena. Devi dormire ancora, e Ti ha disturbato il sonno il mio pensare a Te così mattutino? Se il mio pensare a Te dovesse disturbarTi, non avresti un minuto di pace.
Sento sempre la Tua voce, quella Tua di quella mattina al telefono, mentre stavo per partire. E cerco con gli occhi il Tuo viso, e a volte non riescono a rivederlo com’è, e allora mi stringo con le due mani il viso, e l’accarezzo, e nel mio viso mi rinasce il Tuo nelle mie mani, la più cara cosa, la sola che amo su tutte, l’anima della mia anima, sei l’anima della mia anima, l’ultima forza che mi resta, l’ultima mia poesia, la vera, l’unica vera.
Sono qui al mio scrittoio, in una cabina grande come una piazza. Era per due persone, ma pensano che sono un personaggio tale da meritare d’occupare da solo due letti. Tutto invece, credo, per ricordarmi piuttosto che alla mia età ho il dovere d’essere solo, e anche per rinfacciarmi, forse, con la necessaria ironia, questo mio assurdo atto di scriverTi.
Come hai fatto a entrare così a fondo nella mia vita? Sei d’una sicurezza in quello che fai incredibile, e sei venuta con quella poesia. A dirti la verità, quando sei andata via e l’ho letta, m’è parsa inutile. C’era un’enfasi, c’era un metro in disuso, non so cosa c’era che mi urtava. L’ho ripresa poi a leggere, e vi ho scoperto una grazia, un’onestà, il modo raro d’indovinare il peso, la qualità, la novità, qui e là dei vocaboli, e mi ha toccato, d’improvviso mi ha toccato il sentimento, il dono vero che offre solo la buona poesia, quel dono che illuminava l’ingenuità di quelle strofe un po’ antiquate, che illumina tutto quello che fai. […]
Non sono che un piccolo poeta di questo secolo, nel quale anche i maggiori non possono essere che piccoli poeti; ma anche oggi, nel trambusto, nell’inferno d’oggi, – anche oggi la poesia ha bisogno di essere una persona che si scopre tra la gente – che infonde tanta carità, tanta fede, tanta speranza […]
Io sono ormai troppo vecchio, oltre misura vecchio, quasi un antenato, e non occorre che io sia ancora felice, e non mi pare che sia successo un giorno ch’io fossi felice. Ma l’augurio che Tu abbia lunghi anni felici si avvererà. Nessuno ha mai desiderato con più violenza, con più disperazione che sia felice una persona, e non è mai accaduto, se il desiderio era fortissimo, che non fosse esaudito.”
Giuseppe Ungaretti, da “Lettere a Bruna”, a cura di Silvio Ramat, 2017
(È il mese di agosto del 1966.
Siamo a San Paolo del Brasile, città dolorosamente cara al poeta, perché qui è morto e qui riposa il piccolo Antonietto, il suo bambino.
Ungaretti ha quasi 80 anni, calzati con tutta la vitalità per cui i suoi amici parigini lo chiamano “Ungà”, che in russo significa “gioia”.
“Ungà è il nome che mi dà chi mi vuol bene”.
(Giuseppe Ungaretti)
Il poeta ha appena concluso la sua conferenza, quando gli si avvicina una ragazza che gli chiede un autografo e gli sottopone alcune poesie scritte da lei: è Bruna Angela Bianco.
Bruna ha 26 anni, è nata in Piemonte ma vive in Brasile ormai da molti anni. Laureata in Giurisprudenza, lavora nell’azienda del padre.
“Lo stavo aspettando nella hall. Come entrò, non capii che cosa mi stesse accadendo. Parlammo per un’ora, mi invitò a colazione, mi chiese il numero di telefono.”
(Bruna Bianco)
Lei, però, declina l’invito e i due si congedano.
“Mi abbracciò e mi accompagnò con un lungo gesto delle mani. Tutto il mio corpo fu solcato da una lunga, intima vibrazione, da un piacere sensoriale che non avevo mai provato”.
(Bruna Bianco)
“Sei comparsa al portone
in un vestito rosso
per dirmi che sei fuoco che consuma e riaccende.”
(Giuseppe Ungaretti)
Eppure, la stretta di quell’abbraccio li avvolge in un invisibile “fil rouge” che li tiene legati per anni… Quanti? Non ha importanza. “La misura di amare è amare senza misura”, scrive San Bernardo di Chiaravalle.
E semmai l’unica misura che resta, di quell’amore, sono le trecentosettantasette lettere che Bianca e Giuseppe si scrivono, raccontando una passione che durerà fino alla morte del poeta.
“Sei l’anima della mia anima, l’ultima forza che mi resta, l’ultima mia poesia”.
(Giuseppe Ungaretti)
“Di giorno mi protegge solitudine
E quando è notte mi fa scudo angoscia.
Nell’ombra mia sigillo il tuo pensiero
Ed è il suo scrigno un’anima fanciulla.
Del primo incontro l’attimo passò
E, breve, il tuo ritorno l’indomani
Mi ha chiuso in un tumulo di secoli.”
(Bruna Bianco, “Solitudine”)