Pensieri

Il fantasma

30.09.2023
Nel racconto di Oscar Wilde “Il fantasma di Canterville”, lo spirito di un assassino vaga dannato senza pace, atterrendo gli ospiti di una casa. Una bambina lo salverà con il suo pianto e le sue preghiere donandogli la pace.
Il pianto e la preghiera, suggerisce Oscar Wilde, sono il mezzo per uscire dalla propria identità costipata. È il traboccamento dell’essere che ci consente di passare oltre.
Wilde sembra dirci che bisogna fare appello al proprio mondo intimo e infantile, al residuo smarrito della nostra semplicità infantile, costantemente repressa e alla fine dimenticata.
È quella la risorsa trascurata che dobbiamo riattivare in noi: dare voce al sentimento.
Dice il fantasma alla fanciulla: “… dovrai piangere per me e per i miei peccati, perché io non ho lacrime, e dovrai pregare con me per l’anima mia, poiché io non ho fede…”.
Ma dare voce al fondo elementare e antico del proprio essere intimo è spaventevole.
“… vedrai figure tremende nelle tenebre – continua il fantasma – e voci malvagie ti sussurreranno nelle orecchie, ma non ti faranno del male, poiché le forze dell’inferno non possono sconfiggere la purezza di una fanciulla”.
La bambina tornerà da questo viaggio dall’oltretomba con uno scrigno di gioielli, dono del fantasma finalmente liberato e riappacificato.
Superare il terrore, prendere per mano i propri fantasmi, è la strada ardua per tornare arricchiti dal buio delle proprie paure.
Qualcosa di più ci dice Almodóvar, nel film “Tutto su mia madre”.
Il grande regista spagnolo ci presenta in questo film una serie di personaggi imprigionati in un dolore personale che non riescono a superare.
Ma il miracolo della guarigione avviene quando ciascuno di questi personaggi comincia a interessarsi ai tormenti degli altri, a commuoversi e ad appassionarsi agli altri.
Alzare lo sguardo dai propri fantasmi e dal proprio dolore, per guardare solidali quello degli altri è il medicamento inatteso per la propria sofferenza.
Scriveva Kafka che davanti alle sofferenze del mondo ci si può tirare indietro, certo, siamo liberi di farlo, e questo si addice alla nostra natura, ma precisamente questo tirarsi indietro è forse l’unica sofferenza che potremmo evitare.
Paolino Cantalupo, “Il fantasma e le emozioni”, in “Curarsi con il cinema. La psicoterapia immaginativa”, 2008
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Nell’immagine in evidenza: Amedeo Bocchi, “Malinconia”, 1927

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