Estratti delle lettere dalla prigione di Zehra Doğan, pittrice e giornalista curda arrestata dal regime di Erdoğan per aver testimoniato con le sue opere gli abusi commessi dall’esercito sui civili curdi.
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Zehra Doğan
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“È difficile descrivere la nostalgia che si può provare per un fiore”
Lettera dal carcere di Zehra Doğan a Naz Öke:
21 luglio 2017, venerdì ore 23.45
Mia cara, mia preziosa compagna, ho voluto scriverti prima di dormire. (…)
E ora, in questa notte, una di quelle notti calde e soffocanti di Diyarbakır, distesa sul materasso che ho srotolato a terra, ti scrivo queste righe. Ho considerato la prigione una eventualità. Per questo non sono crollata quando mi hanno arrestata. (…)
Purtroppo non mi danno i materiali per disegnare. Sto pensando come fare in alternativa. Per adesso, ho iniziato a scrivere racconti. Non permetto che nessuna giornata passi senza che io abbia fatto qualcosa. È anche per questo che non mi sono fatta prendere dalla disperazione.
Le mie amiche di cella sono belle persone. Siamo 28, dai 18 ai 50 anni. E abbiamo anche un bambino di due anni, che si chiama Robin. Noi lo chiamiamo ‘il piccolo Enki’, come se lui portasse la nostra rabbia antica di 5000 anni. Questo bimbo è adorabile. Sua madre è stata condannata a 15 anni.
Abbiamo con noi anche una donna condannata all’ergastolo. Si chiama Sodzar. Ha 40 anni ed é in prigione da 22. Vivendo con lei, capisco meglio che la vita non si riduce tutta a me.
Ci sono anche altre madri. Ognuna di loro ha affidato i propri figli alle proprie famiglie fuori dal carcere. Ma la loro anima non smette mai di pensare a loro. Ci sono contadine, abitanti del Sur, studentesse, sindache… tutto quello che puoi immaginare, qui c’è! Ci hanno messo tutte in questa gabbia.
Ma malgrado tutto, conserviamo alto il morale. Viviamo tutte insieme una vita in comune. Tutto quello che possediamo è in comune. E questo è quello che ci dà la forza.
Il carcere è soffocante. Sembra costruito tenendo conto della psicologia umana. (…) Di verde non c’è che l’infermeria. E niente che abbia un legame con un fiore o una pianta, niente in tutta la prigione. (…) Gli anni passano qui, nella nostalgia di un solo fiore. È difficile descrivere la nostalgia che si può provare per un fiore…
“Finalmente ho una stella.”
(…) Ho ricevuto le tue lettere oggi. Le tue frasi affettuose e cariche di amore mi hanno ancora riscaldato il cuore. Ti conosco e ti sento vicina. Come sono fortunata. La sorpresa che è uscita dalla busta mi ha riempita di gioia. Che bella idea hai avuto! Adesso ho una stella! Sai, solo ieri ho finalmente avuto un letto. Ho preso la parte sotto di un letto a castello. Ho subito incollato la stella sotto il letto superiore. Così adesso ho un cielo! …
Questi giorni mi addormento guardando la tua stella. Questo mi porta una incredibile serenità. Che bella idea hai avuto. Passerò con questa stella di plastica due anni. Vivrò con una stella artificiale fino al 24 febbraio 2019, come fosse un vero cielo. Convincersene è una cosa ma esserne condannata, o meglio punita, mi sembra assurdo…
(…) Queste terre si impregnano sempre più di sangue. Ma come una spugna non può assorbire più acqua del proprio volume, come le terre non possono sopportare più pioggia che la propria capacità permette loro. Così queste terre non hanno più forza di assorbire altro sangue. (…)
“I colori delle donne curde, nascosti sotto il nero del loro destino”
Se volete dipingere queste terre, non potete far finta di non vedere i loro colori intensi. È impossibile non percepire il giallo della mostarda, il rosso delle ceramiche, i toni magici del marrone delle terre della Mesopotamia, il blu dei tatuaggi delle donne, il verde della speranza, il nero e il rosso del loro destino. (…)
Per me quello che descrive meglio le donne curde è la citazione del dottor Qasimilo: “versa un the che sia dolce come la donna curda, e nero come il suo destino”. È così la donna curda, che ha la capacità di dare gusto alla vita e dare un senso diverso a ogni singolo colore, ma il suo destino è dannatamente nero.
Ogni donna porta un peso enorme. E la moltitudine dei colori non è sinonimo di gioia. Vediamo tanti colori nelle opere di Frida Kahlo. Ma in nessuna di queste Frida parla della felicità. Al contrario è la donna che più di ogni altra ha dipinto la sofferenza.
Qui, ci sono tanti di quei colori, che nessuno vuole vedere. Le etnie e i popoli che vivono in Turchia sono i colori di queste terre. Ma ci hanno steso sopra uno strato di nero, e poi li hanno dipinti di rosso sangue. Ecco il quadro della Turchia: un quadro fatto di rosso e nero. (…)
Tentano di realizzare così il quadro di questa nazione, immergendola in uno stagno di sangue, in un paese di leggi imposte, lingue e religioni obbligatorie. Eppure il nero non è un colore neutro, ma un colore caldo. Gli altri colori non scompaiono nel nero, ci si nascondono soltanto. E anche se viene utilizzato per annientare gli altri colori, se gratti un po’, i colori antichi escono improvvisamente fuori. La riuscita dipende da quanto talento hai nel grattare…
Da “Nous aurons aussi de beaux jours” (“Avremo anche giorni migliori”), 2019 – Traduzione di Eliana Como
Zehra Doğan
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Immagine in evidenza: Street art di Zehra Doğan