“Il capitalismo è diffuso in tutto il mondo e si chiama così perché è la supremazia del capitale. È qualcosa di diverso dalla supremazia dei capitalisti o dalla supremazia della classe capitalista. Sotto di esso ci sono sì persone che hanno più voce in capitolo di altre, ma manca la regina o il re, che altrimenti siederebbe in cima alla società e darebbe ordini a tutti.
Ma se non ci sono più le persone che comandano le altre, chi c’è? Ci sono le cose. (…)
Soprattutto, non riuscivano più ad arrivare a fine mese. Visto che non sapevano dove andare, si trasferirono nelle grandi città, dove abitavano già tantissimi ex contadini, anch’essi scacciati dalle proprie terre. E senza terra non potevano coltivare né vendere alcunché, dato che non possedevano nulla. Non potevano nemmeno rubare, altrimenti la polizia li avrebbe puniti. L’unica cosa che gli restava erano loro stessi. Per cui chi non voleva finire in prigione iniziò a presentarsi nelle tante fabbriche che stavano aprendo i battenti, e vendette sé stesso.
Da quel momento, tutti gli esseri umani sotto il capitalismo – con l’eccezione di quelli che si ritrovano a possedere una fabbrica – sono costretti a vendersi. Se non lo fanno, restano senza soldi e non possono comprarsi da mangiare.
Tutti vogliono mangiare, ecco perché devono andare a lavorare, piaccia loro o meno. E devono produrre cose, per esempio pistole, che lo trovino sciocco o meno. Così gli esseri umani finiscono per venire dominati dalle cose. E non c’è neanche bisogno dell’intervento dei soldati o della polizia.
Decisivo, sotto il capitalismo, è quindi il lavoro. Tutto gli ruota attorno. Chi non ce l’ha, non mangia. Anzi, la gente prende per scemo chi non ce l’ha, perché pensa che questa persona mangi a sbafo ciò che hanno prodotto gli altri.”
Bini Adamczak, da “Il comunismo raccontato a un bambino (e non solo)”, 2004 – Trad. di Simone Buttazzi
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Nell’immagine: Street art di Bansky