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La canzone di Marinella

22.10.2023
Storia di una canzone: “La canzone di Marinella”, di Fabrizio de André
“Questa di Marinella è la storia vera
che scivolò nel fiume a primavera
ma il vento che la vide così bella
dal fiume la portò sopra a una stella
Sola senza il ricordo di un dolore
vivevi senza il sogno di un amore
ma un re senza corona e senza scorta
bussò tre volte un giorno alla sua porta
Bianco come la luna il suo cappello
come l’amore rosso il suo mantello
tu lo seguisti senza una ragione
come un ragazzo segue un aquilone
E c’era il sole e avevi gli occhi belli
lui ti baciò le labbra ed i capelli
c’era la luna e avevi gli occhi stanchi
lui pose la mano sui tuoi fianchi
Furono baci furono sorrisi
poi furono soltanto i fiordalisi
che videro con gli occhi delle stelle
fremere al vento e ai baci la tua pelle
Dicono poi che mentre ritornavi
nel fiume chissà come scivolavi
e lui che non ti volle creder morta
bussò cent’anni ancora alla tua porta
Questa è la tua canzone Marinella
che sei volata in cielo su una stella
e come tutte le più belle cose
vivesti solo un giorno , come le rose
e come tutte le più belle cose
vivesti solo un giorno come le rose.”
Fabrizio de André, in “Valzer per un amore – La canzone di Marinella”, 1964
La Canzone di Marinella non è nata per caso, semplicemente perché volevo raccontare una favola d’amore. È tutto il contrario.
(Fabrizio De André, da un’intervista del 1933 con Luciano Lanza)
[La canzone di Marinella] É nata da una specie di romanzo familiare applicato ad una ragazza che a 16 anni si era trovata a fare la prostituta ed era stata scaraventata nel Tanaro o nella Bormida da un delinquente. Un fatto di cronaca nera che avevo letto a quindici anni su un giornale di provincia. La storia di quella ragazza mi aveva talmente emozionato che ho cercato di reinventarle una vita e di addolcirle la morte.
(Fabrizio de André, da un’intervista del 1997 a Vincenzo Mollica)
Il fatto di cronaca
Marinella è una ragazza del Sud: è una ragazza qualsiasi, costretta, come tanti altri disperati, ad emigrare al Nord in cerca di fortuna.
Si chiama Maria Boccuzzi. È nata l’8 ottobre 1920 a Radicena, un paesino sperduto della Calabria, in una famiglia di braccianti agricoli. Maria ha nove anni quando i suoi decidono di trasferirsi a Milano in cerca di lavoro. E lo trova anche lei un lavoretto, alla “Regia Manifattura Tabacchi” di via Moscova.
A 14 anni si innamora di uno studente, ma lui è uno squattrinato senza arte né parte: la famiglia di Maria non lo vede di buon occhio e vorrebbe impedirle di frequentarlo.
E allora lei decide di fuggire con il suo Mario. Vanno ad abitare nella soffitta di una casa di periferia e cercano di sbarcare il lunario scaricando casse al mercato.
La loro relazione dura poco: lui l’abbandona e Maria rimane da sola; a quindici anni, senza un mestiere, non potendo o non volendo tornare dai suoi, non sa proprio cosa fare. Sognando di poter diventare, un giorno, una diva, riesce a farsi assumere come ballerina: in realtà, non è capace di muovere nemmeno un passo, ma in compenso è una bella ragazza. Comincia ad esibirsi in locali di infimo ordine con il “nome d’arte” che le hanno affibbiato: Mary Pirimpò.
Una sera incontra Luigi Citti, meglio noto come “Gimmi”, ex ballerino di fila di Wanda Osiris, poi riciclatosi come animatore nel night club “Arethusa”.
Per Maria, quello è il principe azzurro delle favole, ma per Gimmi Maria è solo una ragazza da cui farsi mantenere. Quando si stanca di averla intorno, la cede “per metà” a tal Carlo Soresi, “Carlone”, che la butta sulla strada. Da quel momento in poi, saranno in due ad approfittare di lei e se Maria disubbidisce o si azzarda a non consegnare ai due uomini tutto il denaro che guadagna, sono botte.
Maria comincia ad essere spedita da un bordello a un altro, a Torino, a Firenze, a Milano, dove viene schedata dalla polizia.
Il 29 gennaio del 1953, alcuni ragazzini che giocano in un prato vicino all’Olona, trovano tra i cespugli il cadavere di una bella signora, crivellato di colpi di arma da fuoco.
Sarà una collega, una prostituta, a riconoscerla: è Maria Boccuzzi.
Per un curioso scherzo del destino, adesso diventa famosa: il suo caso finisce sui giornali, su di lei indagano i Carabinieri e perfino l’Interpol, ma il suo assassino non sarà mai trovato.
Sono legato a questa canzone perché, indipendentemente dal suo valore, trovo che ci sia un perfetto equilibrio tra testo e musica, diciamo che sembra quasi una canzone napoletana scritta da un genovese. Nel momento in cui Mina negli Anni Sessanta cantò ‘La canzone di Marinella’ determinò anche la mia vita. Scrivevo canzoni da sette anni, ma non avevo risultati pratici e quindi avevo quasi deciso di finire gli studi in legge. A truccare le carte è intervenuta lei cantando questo brano; con i proventi SIAE decisi di continuare a fare lo scrittore di canzoni e credo sia stato un bene soprattutto per i miei virtuali assistiti. Ci vuole proprio un bel coraggio a cantare con Mina ‘La canzone di Marinella’ perché la sua voce è un miracolo.
(Fabrizio de André, da un’intervista del 1997 a Vincenzo Mollica)

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