Quando avevo sette anni mia madre raccomandava a me e mia sorella Sonia, ogni volta che uscivamo in strada, di evitare la “ruba-bambine”, una vecchia nota nel quartiere perché rapiva le femmine; le attirava regalando caramelle e poi le vendeva a estranei. La parola equivalente in inglese, “kidnapper”,
attualmente è utilizzata per indicare il sequestro di persone di qualsiasi età. Quarant’anni dopo quelle lezioni infantili, ho scoperto che ciò che da piccola mi sembrava un aneddoto tratto da un racconto di Dickens era diventato, con il passare del tempo, uno dei problemi più seri del XXI secolo. (…)
Il mondo sta sperimentando un autentico boom di reti organizzate che rapiscono, comprano e schiavizzano bambine e donne; le stesse forze che, in teoria, avrebbero dovuto sradicare la schiavitù l’hanno invece potenziata a livelli inauditi. In tutto il pianeta stiamo assistendo allo sviluppo di una cultura che tende a rendere normali il rapimento, la sparizione, la compravendita e la corruzione di bambine e adolescenti, allo scopo di trasformarle in oggetti sessuali da affittare o vendere; una cultura che per di più promuove la mercificazione dell’essere umano come fosse un atto di libertà o progresso. Soggiogate da un’economia di mercato disumanizzante, che ci è stata imposta come destino ineluttabile, milioni di persone considerano la prostituzione un male minore e scelgono di ignorare lo sfruttamento e i maltrattamenti che comporta, insieme a un sempre maggior potere del crimine organizzato, dove più dove meno, nel mondo intero.
Nella mappa internazionale del crimine organizzato mafiosi, politici, militari, imprenditori, industriali, guide religiose, banchieri, poliziotti, giudici, sicari e uomini comuni costituiscono un’enorme catena che resiste da secoli. La differenza tra delinquenti solitari, o piccoli raggruppamenti di bande locali, e reti criminali globalizzate consiste nelle strategie d’azione, nei codici di comportamento e nelle tecniche di mercato. Senz’ombra di dubbio il loro potere e la loro stessa essenza si fondano sulla capacità di corruzione di cui le mafie dispongono per generare potere economico e politico in tutte le città in cui conducono i propri traffici. Il legame che le unisce è la ricerca del piacere, per godere i frutti della ricchezza e del potere accumulati. Alcune creano il mercato della schiavitù umana, altre lo promuovono, lo proteggono, lo alimentano, altre ancora rinnovano la domanda di materia prima.
Il crimine organizzato è un’attività illegale a scopi economici e chi ne fa parte prende il nome di gangster, mafie, reti o cartelli. Tutti questi personaggi compongono la cosiddetta “shadow economy” (letteralmente “economia nell’ombra”, o “economia sommersa”), quella cioè che non paga imposte dirette ai legittimi governi, con i quali ha però l’esigenza di negoziare per mantenersi in vita. I crimini più eclatanti del patto tra Stato e malavita organizzata sono la compravendita di armi, sostanze stupefacenti ed esseri umani. Le attività tipiche di questi delinquenti sono definite in modo assai appropriato dagli esperti in sicurezza: furto, frode, contrabbando e trasporto illegale di merci e persone.
Il XXI secolo è testimone della ristrutturazione e della professionalizzazione dei gruppi criminali organizzati. Le mafie, seguendo i dettami capitalisti del libero mercato, hanno creato vie di comunicazione inedite per far circolare beni e servizi tra paesi e continenti. Generare violenza e vendere protezione è la loro attività; acquisire e offrire denaro, piacere e potere è il loro primo e ultimo fine.
La tratta di esseri umani – documentata in 175 nazioni – mette in luce le debolezze del capitalismo globale e la disparità provocata dalle regole economiche dei paesi più potenti; ma, soprattutto, evidenzia come la crudeltà umana e i processi culturali che l’hanno rafforzata siano diventati un fenomeno ordinario. Ogni anno nel mondo 1.390.000 persone, nella stragrande maggioranza donne e bambine, sono ridotte allo stato di schiave sessuali e comprate, vendute e rivendute come materia prima di un’industria, come scarti della società, come omaggi o trofei. (…)
Non esiste una sola storia di mafia in cui il sesso non sia presente. Le donne e le bambine sono comprate, vendute e offerte in dono; oppure sequestrate, affittate, prestate, stuprate, torturate e assassinate. La nozione di donna come oggetto di piacere è invariabilmente presente nella biografia delle organizzazioni criminali giapponesi riunite nella Yakuza, nelle triadi cinesi e nelle mafie italiane, russe e albanesi, così come nei cartelli della droga latinoamericani. Il potere economico e politico ha bisogno del piacere sessuale per esistere. Secondo i codici del maschilismo le donne valgono in quanto oggetti, non in quanto persone, e persino quelle che fanno parte delle organizzazioni criminali riproducono gli stessi modelli di disprezzo e misoginia.
Lydia Cacho, da “Schiave del potere. Una mappa della tratta delle donne e delle bambine nel mondo”, 2010 – Trad. di Andrea Grechi e Fiamma Lolli