Affabulazioni

Saluta i morti

31.10.2023
In fondo al corridoio c’è il quadro con la perpetua.
Così si chiama la lampadina sempre accesa che la luce sembra una fiammella. E nel quadro c’è la foto di un signore con gli occhiali. Tutto intorno ci stanno infilati i ritratti formato tessera in bianco e nero. «Sono i morti della famiglia», diceva mia nonna. Le foto piccole le ha sfilate dalle partecipazioni che si mandavano una volta per comunicare la scomparsa di qualcuno. In genere era la stessa che finiva sulla lapide. Ma quelle facce minute quasi non si vedono, mentre l’uomo con gli occhiali si affaccia imponente anche da lontano con un mezzo sorriso serio.
La montatura grossa, un pezzo di cravatta e il colletto della giacca sopra la camicia bianca mi facevano pensare che era stato fotografato a un matrimonio. Perché i parenti miei li vedevo vestiti bene solo in quelle occasioni.
«Chi sono?» chiedevo. «Sono i morti», diceva mia nonna e poi faceva i nomi. Ma non indicava le facce. Così le donne potevano essere tutte la signora Ventisini che faceva la portiera, Settimia che era andata pure in galera per gli aborti clandestini o zia Fenizia che levava le fatture. Anzi Fenizia la riconoscevo per i capelli dritti e gli occhi spiritati. Ma gli uomini erano indistintamente zio Pierino dell’Altitalia, nonno Giovanni che faceva il boscaiolo con Primo Carnera o il marito di zia Morina che era stato partigiano. E piú passava il tempo, piú le foto piccole si ammucchiavano invadendo la cornice. «I morti della famiglia», diceva mia nonna e ce li faceva salutare fino al giorno che qualcuno avrebbe infilato pure la sua tra le facce illuminate dalla lampadina fiammeggiante. Fino a quando avremmo salutato pure lei. E io intanto guardavo i conosciuti e gli sconosciuti, tutti parenti miei, tutti ugualmente familiari. Consanguinei.
Ci ho messo vent’anni per capire che il faccione occhialuto era Togliatti.
Ascanio Celestini, in Eraldo Affinati, “Questo terribile intricato mondo”, 2008

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