“Una volta mi hai chiesto, per scherzo, se avessi mai provato l’orrore del vuoto. Ti risposi di sì e da allora l’ho sognato spesso.
Dipenderà da una posizione accidentale del corpo, o da un’indigestione, o da un altro genere di disturbo interno, ma il terrore che invade la mente non è per questo meno reale. Non è (come un tempo pensavo) l’immagine della morte e il ghigno del teschio, ma lo stato in cui si percepisce la fine di tutte le cose. Questo nulla non si presenta come assenza o silenzio, ma come il male assoluto senza più maschera; è beffa e minaccia che rende ridicolo ogni piacere, e fa sfiorire e inaridisce ogni sforzo.
Quest’incubo è l’equivalente opposto della visione che mi si presenta nei parossismi della malattia. In quei momenti mi sembra di avvertire la pura armonia dell’universo, mi invadono una gioia e una fiducia indicibili, e vorrei gridare a tutti i vivi e i morti che non v’è parte del mondo che non sia stata raggiunta dalla mano della benedizione.
Entrambi questi stati derivano da certi umori dell’organismo, ma in entrambi si afferma la consapevolezza che «d’ora in avanti questo lo saprò». In che modo scacciarli come vane illusioni se la memoria li rafforza con innumerevoli conferme, splendide o terribili? Impossibile negare l’uno senza negare l’altro; né vorrei accordare a entrambi, come un semplice paciere di campagna, la propria porzioncina di verità.”
Jorge Luis Borges, da “Libro dei sogni”, 1976
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