“Gli umani sono soli.
Malgrado la pioggia, malgrado gli animali, malgrado i fiumi e gli alberi e il cielo e malgrado il fuoco. Gli umani sono sempre sulla soglia.
Hanno avuto il dono della verticalità, e tuttavia conducono la loro esistenza curvi sotto un peso invisibile. C’è qualcosa che li schiaccia.
Piove: ecco che corrono. Sperano nella venuta delle divinità, ma non vedono gli occhi degli animali che li guardano. Non sentono il nostro silenzio che li ascolta.
Prigionieri della loro ragione, la maggior parte di loro non faranno mai il grande passo dell’irragionevolezza, se non al prezzo di un’illuminazione che li lascerà esangui, e folli. Sono assorbiti da ciò che hanno sottomano, e quando le loro mani sono vuote, se le portano al viso e piangono.
Sono fatti così.”
“Cosa getteranno nel tumulto delle onde? Cosa affideranno agli abissi? Quale dolore? Quale dispiacere? Nelle profondità marine esistono pesci mostruosi dotati di parola, custodi di una lingua antica, dimenticata, parlata ai tempi dei tempi dagli umani e dalle bestie sulle rive dei paradisi perduti. Chi mai oserà immergersi per unirsi a loro e imparare a decifrare e parlare di nuovo quel linguaggio? Quale animale? Quale uomo? Quale donna? Quale essere? Quell’essere, se risalisse in superficie, porterebbe nella propria bocca azzurrata dal freddo i frammenti di una lingua scomparsa di cui tutti noi cerchiamo da sempre, instancabilmente l’alfabeto. Impareremmo di nuovo a parlare. Inventeremmo parole nuove. Wahhch ritroverebbe il suo nome. Non tutto sarebbe perduto”.
Wajdi Mouawad (drammaturgo, regista teatrale, scrittore libanese), “Anima”, 2012