La villa con la ringhiera di ferro. Così mi ha descritto al telefono la sua dimora Paul, o Paolo, come lo chiama lo stato italiano. Ora che sono giunto nella via indicatami in questo piccolo paese dello spilimberghese faccio tuttavia fatica a distinguere una casa dalle altre. Tutte sembrano avere la ringhiera di metallo e il muretto. Poi scorgo un signore alto dallo sguardo severo, cui l’età ha forse tolto un po’ dell’originaria stazza. Mi aspetta appoggiato alla ringhiera, la bassa ringhiera di ferro che dovrebbe distinguere la sua casa dalle altre.
La casa è adornata dentro e fuori con coprivasi, lampioni, tavolini, intarsiati con gusto e maestria nel ferro. «Li ho fatti io», dice orgoglioso quest’uomo nato in Francia nel 1927 accompagnandomi a vedere la sua officina, nell’ampio scantinato della villa. C’è una forgia dove fonde il metallo, un incudine e degli attrezzi di altri tempi. «Nessuno lavora più così al giorno d’oggi», commenta un po’ malinconico. Sulla parete c’è un dipinto, un affresco senza pretese che riporta i nomi di alcune città e conclude con una frase sibillina: “Udine, Paris, Bruxelles, Caracas, Zurigo, Spilimbergo. È nato un fiore”.
Le città sono le tappe della vita raminga di Paul, un emigrante figlio di emigranti. La frase finale è riferita alla nipotina, nata alcuni anni fa. «L’ho disegnato quando è nata mia nipote. Per me è un modo per ricordare la vita che ho fatto io e celebrare la sua nascita».
Tracciare il filo della vita di Paul non è facile, ci sono dei colpi di coda inaspettati che scompaginano una situazione che si andava stabilizzando. Ma per chi è cresciuto negli anni della guerra – il discorso vale per qualsiasi guerra ma qui parliamo della seconda guerra mondiale – la necessità di inventarsi un presente e un futuro ha significato scelte improvvise e radicali, con la speranza che si rivelassero poi quelle giuste. Procedendo per tentativi anche temerari si misura la perfettibilità della propria esistenza, cercando di migliorarsi, come raccomandavano i vecchi un tempo.
Il tratto iniziale della sua vita è legato alla Francia, dove il padre emigra nei primi anni venti del Novecento assieme ad altri compaesani. Luigi, il padre di Paul, faceva parte di quella singolare “colonia” di emigranti politicizzati che tra le due guerre partirono dal comune di Tavagnacco per trasferirsi in Francia. Un libro pubblicato recentemente ne inquadra i percorsi di vita collettiva, legati alla militanza antifascista e al lavoro nella nuova patria, il più delle volte nel settore delle costruzioni (“L’altra Tavagnacco. L’emigrazione friulana in Francia tra le due guerre”, Comune di Tavagnacco 2003). Imprenditore edile e fervente socialista, Luigi si stabilisce nella zona della Champagne dove nascono i due figli. Poco dopo la famiglia si sposta a Parigi, dove il piccolo Paul frequenta le scuole. Lui e sua sorella vengono iscritti all’anagrafe come cittadini francesi, così da garantire maggiore solidità all’attività imprenditoriale del padre. «Per poter avere un’impresa tutta sua doveva naturalizzare i figli», spiega Paul. Ogni estate moglie e figli trascorrono un paio di mesi nella casa dei nonni in Friuli. A parte una volta, quando la madre decide di fare ritorno dopo pochi giorni in Francia – «I carabinieri venivano sempre a chiedere di mio padre e mia madre aveva preso paura».
Nel 1941, con il conflitto bellico ormai endemico, la situazione si inverte e la famiglia cerca tranquillità lontano da Parigi, nella regione natia. Il padre arriverà però solo nel 1943, alla caduta del fascismo.
«Mio padre in Francia non si interessava molto di politica, pensava più al lavoro e alla famiglia, comunque non ha mai fatto mistero delle sue idee e io sono cresciuto in un ambiente antifascista».
Paul non può dimenticare il cugino impiccato dai tedeschi a Premariacco assieme ad altri dodici partigiani nel 1944. Un eccidio tra i più terribili compiuti durante l’occupazione nazista del Litorale Adriatico.
Il giovane Paul, che parlava francese e friulano – «L’italiano l’ho praticato quando ci siamo stabiliti qua» – e aveva appena finito le scuole medie a Parigi, si trova in una terra che conosceva solo come luogo delle vacanze. Comprende in quel momento la sua diversità rispetto ad un ambiente rurale ancorato al passato: «La mentalità di qui era diversa, per me non fu facile abituarmi». Trova lavoro come apprendista meccanico in un’officina e poi come fabbro, mentre frequenta dei corsi di disegno industriale a Spilimbergo. Alla caduta del fascismo entra in contatto con la nascente Resistenza e diventa uno dei più giovani partigiani della zona. Affianca i più anziani (tutti ex emigranti, alcuni con alle spalle la partecipazione alla Guerra di Spagna) nelle operazioni facendo da corriere. Un’esperienza, quella della Resistenza, che oggi ricorda con amarezza, per quanto ne è seguito.
«Io ero poco più che un ragazzino, ma sentivo forte il bisogno di ribellarmi contro il fascismo, purtroppo oggi vedo che la memoria della Resistenza non è rispettata. Qui trovi sempre quello che ti ricorda che i partigiani hanno rubato una vacca o fatto qualcosa che non andava. Non è giusto, in Francia e in altri paesi la Resistenza è una memoria condivisa da tutti, ma qua non è così».
Il rapporto di Paul con la terra dove ha scelto di passare la vecchiaia non è idilliaco. Un tratto che, purtroppo, è comune a molti emigranti rientrati. In alcuni paesi del Friuli esiste perfino un termine non troppo cortese per definire chi rientra al paese dopo anni di vita all’estero: “raventâts”.
Letteralmente, trapiantati. Paul non è propriamente uno di essi, perché i suoi natali non sono legati all’Italia, ma il meccanismo che deve aver subito è lo stesso. Questo rapporto di attrazione-repulsione verso la terra dei suoi genitori sarà un fattore decisivo nella scelta di partire che prenderà alla fine della guerra.
«Dopo la guerra volevo tornare in Francia a ogni costo. Avevo il passaporto francese e quindi non avevo problemi ad entrare. Sono tornato a Parigi, dove dopo poco tempo ho trovato lavoro nella metropolitana come meccanico».
La situazione non è tuttavia destinata a durare perché c’è di mezzo la chiamata al servizio militare, che per un figlio di immigrati significa quasi certamente l’invio nelle zone critiche del Nord Africa, nell’Algeria inquieta dove venivano segnalati i primi atti di guerriglia del Fronte di liberazione nazionale. Paul è intimorito da questa possibilità e ripara in Belgio, dove la sorella si è intanto stabilita col marito.
«Lì mi sono trovato bene. Per gli italiani in Belgio l’unico destino possibile era quello della miniera, e di italiani ce n’ erano tanti, ma per fortuna io avevo un passaporto francese e ho trovato un buon lavoro come meccanico. Al consolato mi hanno detto che potevo stare alcuni mesi e mi hanno messo in allerta sulla chiamata. Volevano che tornassi in Francia per assolvere i miei doveri. Allora ho deciso di farla finita, ero stufo di queste pressioni, e ho rinunciato alla cittadinanza francese. Se ci penso ho fatto male, potevo cercare di avere la doppia nazionalità, ma in quel momento non volevo avere più storie coi francesi».
La decisione è brusca, ma dettata anche dal fatto che la sua esperienza di partigiano gli valeva l’esonero dal servizio militare in Italia. Ora italiano in Belgio, Paul potrebbe continuare indisturbato il suo lavoro ma riceve una lettera dal padre, dall’Italia, che gli chiede di rientrare.
Appena finita la guerra Luigi era stato nominato sindaco di Spilimbergo. Era uno dei più noti antifascisti della zona e gli venne chiesto di assolvere il ruolo prestigioso ma gravoso di primo sindaco dopo la Liberazione dal nazi-fascismo. L’esperienza durò poco più di un anno. «Era un lavoro impegnativo e del tutto gratuito», racconta il figlio. Chiusa quell’esperienza, Luigi esclude per il momento di riprendere la strada dell’emigrazione e si ripropone di avviare una nuova attività assieme al figlio, questa volta in Friuli. E Paul arriva.