“C’era una volta un prigioniero… No: c’era una volta un bambino… Meglio ancora: c’era una volta una Poesia… Anzi, facciamo così: C’era una volta un bambino che aveva il papà prigioniero.
E la Poesia? – direte voi – cosa c’entra?
La Poesia c’entra perché il bambino l’aveva imparata a memoria per recitarla al suo papà, la sera di Natale. Ma, come abbiamo spiegato, il papà del bambino era prigioniero in un paese lontano lontano.
Un paese curioso, dove l’estate durava soltanto un giorno e, spesso, anche quel giorno pioveva o nevicava.
Un paese straordinario, dove tutto si tirava fuori dal carbone: lo zucchero, il burro, la benzina, la gomma. E perfino il miele, perché le api non suggevano corolle di fiori, ma succhiavano pezzi d’antracite.
Un paese senza l’uguale, dove tutto quello che è necessario all’esistenza era calcolato con così mirabile esattezza in milligrammi, calorie, herg e ampères, che bastava sbagliare un’addizione – durante il pasto – per rimanerci morti stecchiti di fame.
Stando così le cose, arrivò la sera della Vigilia, e la famigliola si trovò radunata attorno al desco, ma una sedia rimase vuota. E tutti guardavano pensierosi quel posto vuoto, e tutto era muto e immobile nella stanza perché anche l’orologio aveva interrotto il suo ticchettare, e la fiamma era ferma, come gelata nel camino.
Allora il bambino – chi sa perché – si levò dritto sul suo sgabello, davanti alla sedia vuota e recitò ad alta voce la Poesia di Natale:
“Din-don-dan: la campanella
questa notte suonerà
e una grande, argentea stella
su nel ciel s’accenderà…”
Il bambino recitò la sua Poesia davanti alla sedia vuota del papà e, come ebbe finito, la finestra si spalancò ed entrò una folata di vento.
E la Poesia aperse le ali e volò via col Vento.
Guareschi scrisse questa favola a pochi giorni dal Natale del 1944, mentre era prigioniero nel campo di concentramento tedesco di Sandbostel.
“Questa favola io la scrissi rannicchiato nella cuccetta inferiore di un ‘castello’ biposto, e sopra la mia testa c’era la fabbrica della melodia. Io mandavo su da Coppola versi di canzoni nudi e infreddoliti, e Coppola me li rimandava giù rivestiti di musica soffice e calda come lana d’Angora.”
(Giovannino Guareschi)
… Sì, perché la favola venne musicata e a farlo fu l’amico e compagno di prigionia Arturo Coppola, che riuscì perfino ad organizzare un coro e a mettere insieme una piccola orchestra improvvisata, “munita” di un provvidenziale “rumorista” che sostitutiva con la voce gli strumenti mancanti.
«Stretta la foglia – larga la via
dite la vostra – che ho detto la mia.
E se non v’è piaciuta – non vogliatemi male:
ve ne dirò una meglio – il prossimo Natale,
e che sarà una favola – senza malinconia;
C’era una volta – la prigionia…»
(Giovannino Guareschi)