“Quel che siamo e sembriamo,
A chi importa.
Quel che facciamo e pensiamo
Nessuno se ne indigna.
Il cielo è in fiamme,
Chiaro il firmamento
Sopra l’unione
che non conosce la via.”
“I pensieri vengono a me,
non sono più un’estranea per loro.
Cresco e divento la loro dimora
come un campo coltivato.
Vieni e abita
nella buia stanza obliqua del mio cuore,
ché la vastità delle onde ancora
si chiude allo spazio.
Vieni e cadi
nei fondi colorati del mio sonno,
che ha paura del ripido
abisso del nostro mondo.
Vieni e vola
nella lontana curva della mia nostalgia,
che l’incendio divampi
all’altezza di una fiamma.
Stai e resta.
Aspetta che l’arrivo giunga
inesorabile dal lancio
di un istante.”
“Ma come si vive con i morti? Di’,
dov’è il suono che ne tradisce la presenza,
com’è il gesto se, condotti da loro,
desideriamo che la prossimità stessa a noi si neghi?
Chi sa il lamento che li allontana da noi
e tira il velo sullo sguardo vuoto?
A che cosa serve rassegnarsi alla loro assenza,
e rivolta il sentimento che impara a sopravvivere.
Il sentimento rivoltato è come il coltello rivoltato nel cuore.”
“Che fretta ha
il tempo,
non si sofferma,
aggiunge
anno dopo anno
alla sua catena.
I capelli
son presto
bianchi e soffiati via.
Ma se il
tempo si divide
ogni anno
in notte e giorno,
se il cuore
si sofferma —
non gioca
all’eternità
col tempo?”
“Ogni solitudine portata con coerenza sino alla fine sfocia in disperazione e abbandono — semplicemente perché non è possibile gettarsi al collo di se stessi.
Sembra che tutto debba ripetersi. E mi chiedo che ne sarà di Te fra sette anni. La prossima tempesta, che soffia già da ogni direzione, come se si esercitasse nel soffiare e nello spazzare via, Ti risucchierà e Ti farà girare nel vortice, poiché navigando — e anche nei pericoli della navigazione — hai gettato tutto di bordo e sei rimasto senza un peso tuo? Oppure, per parlare una lingua diversa e molto più precisa, che non è la mia lingua, vuoi veramente fare di Te un “contenitore” […] e condividere l’essenza del contenitore, che è il vuoto?
Non respingerlo subito. Se vuoi (devi?) imboccare questa strada, hai soltanto un’opportunità — che ti si possa ancora incontrare.
La forza diventa potere solo nel momento in cui si allea con altri. La forza che non può diventare potere, perisce da sé in se stessa.”
“Sono solo una
Delle cose,
Quelle piccole,
Che riuscirono
Per esuberanza.
Stringimi fra le Tue mani,
Che si espandano
Oscillanti
Nella riuscita,
Quando hai paura.”
“Finché abitiamo questa terra, abbiamo tanto bisogno gli uni degli altri quanto avremo bisogno di Dio nell’ora della morte, quando cioè lasceremo la terra.”
“In qualunque modo lo si voglia vedere, è incontestabile che a Friburgo io mi sia recata (e non caduta) in una trappola. Ma è ugualmente incontestabile che Martin [Heidegger], lo sappia o no, si trovi in questa trappola, che in essa sia di casa, che abbia costruito la sua casa attorno a questa trappola; cosicché si può andare a trovarlo soltanto se si va a trovarlo nella trappola, se si va in trappola. Quindi sono andata a trovarlo nella trappola. Il risultato è che ora lui sta di nuovo seduto da solo nella sua trappola.”
“L’amore è una potenza e non un sentimento. S’impadronisce dei cuori, ma non nasce dal cuore. L’amore è una potenza dell’universo, nella misura in cui l’universo è vivo. Essa è la potenza della vita e ne garantisce la continuazione contro la morte. Per questo l’amore “supera” la morte. Appena si è impossessato di un cuore, l’amore diventa una potenza ed eventualmente una forza. L’amore brucia, colpisce l’infra, ovvero lo spazio-mondo fra gli uomini, come il fulmine. Questo è possibile soltanto se vi sono due uomini. Se si aggiunge il terzo, allora lo spazio si ristabilisce immediatamente. Dall’assoluta assenza di mondo (=spazio) degli amanti nasce il nuovo mondo, simboleggiato dal figlio. In questo nuovo infra, nel nuovo spazio di un mondo che inizia, devono stare ora gli amanti, essi vi appartengono e ne sono responsabili. Proprio questa è però la fine dell’amore. Se l’amore persiste, anche questo nuovo mondo viene distrutto. L’eternità dell’amore può esistere soltanto nell’assenza di mondo (dunque: «e se Dio vorrà, ti amerò anche di più dopo la morte» — ma non perché allora io non “vivrò” più e di conseguenza potrò forse essere fedele o qualcosa del genere, ma a condizione di continuare a vivere dopo la morte e di aver perduto in essa soltanto il mondo!) o come amore degli “abbandonati”, non a causa dei sentimenti, ma perché, assieme agli amanti, è andata perduta la possibilità di un nuovo spazio mondano.”
“Amo la terra
come in viaggio
il luogo straniero,
e non diversamente.
Così la vita mi tesse
piano al suo filo
in una trama sconosciuta.
All’improvviso,
come il commiato in viaggio,
il grande silenzio irrompe nel telaio.
Il cuore è un organo curioso; soltanto quando è spezzato, batte al proprio ritmo; se non si spezza, si pietrifica. La pietra che ci cade dal cuore è quasi sempre quella in cui il cuore si era quasi trasformato.”
“Amor mundi — perché è cosi difficile amare il mondo?
Una volta che abbiamo iniziato a pensare, i pensieri arrivano come le mosche e ci succhiano il sangue vitale.”
“Dolcezza grave
La dolcezza è
all’interno delle nostre mani,
quando la superficie si
accomoda alla forma estranea.
La dolcezza è
nella volta celeste notturna,
quando la lontananza si
concede alla terra.
La dolcezza è
nella tua mano e nella mia,
quando la vicinanza bruscamente
ci fa prigionieri.
La malinconia è
nel tuo sguardo e nel mio,
quando la gravità ci
accorda uno nell’altro.”
“Ti vedo soltanto
come stavi alla scrivania.
Una luce cadeva in pieno sul tuo viso.
Il vincolo degli sguardi era così stretto,
come se dovesse portare il tuo peso e il mio.
Il legame si è spezzato,
e fra noi si è creato
non so quale strano destino,
che non si può vedere e che nello sguardo
non parla e non tace.
La voce trovò e cercò
ascolto nella poesia.”
“Un tempo, per corazzarmi contro la vanità, l’ambizione e i desideri folli, ho spesso giocato con la morte. Al cospetto della morte, della mortalità dei mortali — Vanitas vanitatum vanitas. Un pensiero assai consolatorio. Ma oggi, poiché in parte il mondo viene incontro proprio alla mia vanità, ricompensa la mia ambizione e ogni tanto esaudisce i miei folli desideri, mi rendo conto che il gioco con la morte non serve più. La morte stessa non è più il nostro letto di morte o d’agonia. Non che io abbia paura, ma le mie preoccupazioni vanno al di là della morte, voglio che il mio testamento sia in ordine, le mie carte al sicuro, che quel po’ di denaro sia distribuito in modo giusto — insomma, quando il mondo ci sorride, in fin dei conti siamo subito disposti a provare un interesse estremamente disinteressato nei suoi confronti.”
“A dire il vero, da quando avevo sette anni, ho sempre pensato a Dio, ma non ho mai riflettuto su Dio.
Ho desiderato spesso non dover più vivere, ma non mi sono mai interrogata sul senso della vita.
La nostra cognizione del tempo si orienta esattamente rispetto al numero di anni che abbiamo vissuto. Più si è giovani, più un anno è lungo, ma anche un’ora o un giorno. Se ho cinque anni, un anno corrisponde a un quinto della mia vita; se ne ho cinquanta, è soltanto un cinquantesimo. Ciò cambia solo quando si diventa vecchi e si inizia a contare partendo dalla morte e non più dalla nascita. Allora gli anni diventano di nuovo impercettibilmente più lunghi.”
“La notte scorsa ho sognato Kurt Blumenfeld — per la prima volta in vita mia, credo. Nel sogno, lo incontravo inaspettatamente su un bel ponte nel bosco. Si levava di bocca il sigaro, per baciarmi. Gli dicevo: «Sei veramente tu? Non posso mica farmi baciare da uno sconosciuto». Ma lo dicevo ridendo. Nel sogno non sapevo che era morto. Mi sono svegliata ridendo. Per la gioia di questo incontro inatteso.”
Hannah Arendt, da “Diari”, curati da Chantal Marazia, 2007