Pensieri

Byung-Chul Han: il dolore, la stanchezza, la capacità di “non fare”

04.01.2024
Il dolore
“Il dolore viene interpretato come un segno di debolezza, qualcosa da nascondere o da eliminare in nome dell’ottimizzazione. Così la psicologia positiva sigilla la fine della rivoluzione. A salire sul palco non sono i rivoluzionari, bensì i trainer motivazionali che impediscono il diffondersi del malumore o anche della rabbia.
Ci viene costantemente chiesto di comunicare i nostri bisogni, i nostri desideri, le nostre preferenze, di raccontare la nostra vita. La libertà e la sorveglianza diventano inestinguibili. Il baccano comunicativo perpetua l’inferno dell’Uguale. Impedisce che avvenga qualcosa di veramente Altro, del tutto incomparabile, mai visto prima. L’inferno dell’Uguale è una zona di benessere palliativo. Una vita senza morte né dolore non è umana, bensì non morta. L’essere umano si fa fuori per sopravvivere. Potrà forse raggiungere l’immortalità, ma al prezzo della vita.
Byung-chul Han, da “La società senza dolore. Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite”, 2021
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Quella strana stanchezza…
“La pandemia ci ha lasciato più depressi e l’ozio della pandemia ci ha stancati. Perché siamo così stanchi? La stanchezza è diventata un fenomeno a sé, sembra esserci una pandemia della stanchezza.”
“Quella strana stanchezza che abbiamo e che non finisce con il nostro lavoro, ci accompagna anche nel tempo libero. È possibile riprendersi dalla stanchezza del lavoro ma non dalla stanchezza che deriva dall’ansia da prestazione”.
Byung-Chul Han, “La società della stanchezza”, 2012
“La rumorosa società della stanchezza è sorda. La società a venire potrebbe invece chiamarsi una società dell’ascolto e dell’attenzione. Oggi è necessaria una rivoluzione del tempo che dia inizio a un tipo di tempo completamente diverso. Si tratta di scoprire il nuovo tempo dell’Altro.”
Byung-Chul Han, da “L’espulsione dell’Altro”, 2017
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La capacità di “non fare”
“Stiamo abolendo l’Inferno di Dante sostituendolo con un nuovo inferno, per la sopravvivenza sacrifichiamo tutte le cose per cui vale la pena vivere, gola, lussuria, pigrizia. E la società digitale sta eliminando anche gli eretici.”
“Oggi percepiamo la vita solo come attività, vediamo l’inattività come un deficit” dice, “ma l’inattività non è un’assenza di attività, è una capacità in sé che ha una sua magia. L’attività è sfruttabile, e il regime neoliberale ci schiavizza perché rappresenta una continua chiamata all’attività. Sembra un richiamo alla libertà e invece siamo sfruttati, rendendo anche impossibile un’eventuale rivoluzione. Anche il tempo libero è un derivato del lavoro, fa parte della catena del lavoro. È invece la pratica dell’inattività che libera veramente il tempo perché l’azione in sé non è generatrice di cultura, sono le dissolutezze, le deviazioni, a formare la cultura. La cultura sono gli ornamenti, è ciò che ci emancipa da qualsiasi scopo non finalizzato al funzionamento.”
“Se perdiamo la capacità di ‘non fare’, diventiamo macchine.”
Byung-Chul Han, dalla lectio magistralis all’Auditorium del Goethe-Institut

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