Osja, amico mio lontano! Mio caro, non trovo le parole per questa lettera che tu, forse, mai leggerai. La scrivo allo spazio. Magari tu ritornerai e io non ci sarò già più. Questo allora sarà l’ultimo ricordo di me.
Osjuša, la nostra vita da bambini, che felicità è stata! I nostri litigi, i nostri battibecchi, i nostri giochi e il nostro amore. Ora non guardo nemmeno più il cielo. A chi dovrei mostrare le nuvole che scorgo? Ricordi quando trascinavamo i nostri miseri banchetti alle nostre povere case randagie, da nomadi? Ricordi com’è buono il pane quando cade dal cielo e lo si mangia in due? E l’ultimo inverno a Voronež. La nostra felice miseria e le poesie. Ricordo: tornavamo dalla banja, avevamo comprato delle uova, o forse delle salsicce. Passò un carro di fieno. Faceva ancora freddo e io m’assideravo nella mia giacchetta (forse è il nostro destino: so quanto freddo hai tu). E quel giorno mi si è impresso nella memoria: ho sentito, chiaro da far male, che quell’inverno, quei giorni, quelle disgrazie erano l’ultima e la migliore felicità che avevamo in sorte.
Ogni mio pensiero è rivolto a te. Ogni lacrima e ogni sorriso è per te. Benedico ogni giorno e ogni ora della nostra amara vita, amico mio, mio compagno di viaggio, amata, cieca guida mia… Come cuccioli ciechi sbattevamo l’uno contro l’altro, e stavamo bene. E la tua povera testa delirante e tutta la follia, con la quale scaldavamo i nostri giorni. Che felicità era e come abbiamo sempre saputo che proprio quella era la felicità.
La vita è lunga. Com’è lungo e difficile morire da solo, da sola. Possibile che proprio a noi, inseparabili, tocchi questo destino? Noi, cuccioli, bambini… tu, angelo, l’hai forse meritato? E tutto va avanti. Io non so nulla. Eppure so tutto e, come in un delirio, vedo ogni tuo giorno, ogni tua ora nitida e chiara.
Sei venuto da me in sogno ogni notte e io continuavo a chiederti cosa fosse successo e tu non rispondevi. L’ultimo sogno: sto comprando del cibo nel lurido bar di un lurido albergo. Con me ci sono dei completi sconosciuti e io, dopo aver comprato tutte queste cose, capisco che non so dove portarle, perché non so dove sei tu. Quando mi sono svegliata ho detto a Šura: Osja è morto.
Non so se tu sia vivo, ma da quel giorno ho perso ogni tua traccia. Non so dove tu sia. Puoi sentirmi? Sai quanto ti amo? Non ho fatto in tempo a dirti quanto ti amo. Non riesco a dirlo nemmeno ora. Dico soltanto: per te, per te… sei sempre con me e io – selvatica e cattiva, che mai ho saputo semplicemente piangere – io piango, e piango, e piango. Sono io, Nadja. Dove sei? Addio.