“L’inizio di ogni mese è come un maggiordomo: ti accoglie, ti veste oppure ti sveste ma soprattutto riesce a truccare il tuo pensiero come vuole.”
Autore sconosciuto
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Il primo gennaio
“So che si può vivere non esistendo, emersi da una quinta, da un fondale, da un fuori che non c’è se mai nessuno l’ha veduto. So che si può esistere non vivendo, con radici strappate da ogni vento se anche non muove foglia e non un soffio increspa l’acqua su cui s’affaccia il tuo salone. So che non c’è magia di filtro o d’infusione che possano spiegare come di te s’azzufino dita e capelli, come il tuo riso esploda nel suo ringraziamento al minuscolo dio a cui ti affidi, d’ora in ora diverso, e ne diffidi. So che mai ti sei posta il come – il dove – il perché, pigramente rassegnata al non importa, al non so quando o quanto, assorta in un oscuro germinale di larve e arborescenze. So che quello che afferri, oggetto o mano, penna o portacenere, brucia e non se n’accorge, né te n’avvedi tu animale innocente inconsapevole di essere un perno e uno sfacelo, un’ombra e una sostanza, un raggio che si oscura. So che si può vivere nel fuochetto di paglia dell’emulazione senza che dalla tua fronte dispaia il segno timbrato da Chi volle tu fossi…e se ne pentì. Ora, uscita sul terrazzo, annaffi i fiori, scuoti lo scheletro dell’albero di Natale, ti accompagna in sordina il mangianastri, torni indietro, allo specchio ti dispiaci, ti getti a terra, con lo straccio scrosti dal pavimento le orme degli intrusi. Erano tanti e il più impresentabile di tutti perché gli altri almeno parlano, io, a bocca chiusa.”
Eugenio Montale, “Il primo gennaio”, da “Satura”, 1971
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Benedetto Antelami, “Gennaio bifronte”, da “Il ciclo dei mesi”, Battistero di Parma
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Febbraio
Inverno. È tempo di mangiare grassi
e guardare l’hockey. Nelle mattine di stagno, il gatto,
una salsiccia di pelo nero con gli occhi gialli
occhi da Houdini, salta sul letto e cerca di
di salire sulla mia testa.
È il suo
modo per capire se sono morta o meno.
Se non lo sono, vuole essere accarezzato; se lo sono,
penserà a qualcosa. Si posa
sul mio petto, inalo il suo respiro
di carne rigurgitata e divani ammuffiti,
fa le fusa come una Washboard. Un altro gatto,
non ancora castrato, ha spruzzato la nostra porta d’ingresso,
dichiarando guerra. È una questione di sesso e di territorio,
che sono quelli che ci finiranno
a lungo andare. Alcuni proprietari di gatti qui intorno
dovrebbero tagliare qualche testicolo. Se noi saggi
ominidi fossimo ragionevoli, lo faremmo anche noi,
o mangeremmo i nostri piccoli, come gli squali.
Ma è l’amore che ci frega. Ancora e ancora
ancora, spara, fa centro! e la fame
si accovaccia tra le lenzuola, tendendo un’imboscata al piumino che pulsa
e il coefficiente di congelamento del vento raggiunge i
trenta sotto zero, e l’inquinamento si riversa
dai nostri camini per tenerci al caldo.
Febbraio, mese della disperazione,
con un cuore infilzato al centro.
Faccio pensieri terribili e desidero patatine fritte
con una spruzzata di aceto.
Gatto, basta con i tuoi avidi piagnistei
e del tuo piccolo buco di culo rosa.
Via dalla mia faccia! Sei il principio della vita,
più o meno, quindi datti da fare
un po’ di ottimismo da queste parti.
Sbarazzati della morte. Festeggia per la crescita. Fai in modo che sia primavera.
Margaret Atwood, da “Morning in the Burned House”, 1995
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Benedetto Antelami, “Febbraio”, da “Il ciclo dei mesi”, Battistero di Parma
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Canzone di Marzo
“Che torpida notte di marzo!
ma che mattina tranquilla!
che cielo pulito! che sfarzo
di perle! Ogni stelo, una stilla
che ride che brilla su lunghe parole.
Le serpi si sono destate
col tuono che rimbombò primo
Guizzavano, udendo l’estate,
le verdi cicigne tra il timo;
battevan la coda sul limo
le biscie acquaiole.
Ancor le fanciulle si sono
destate, ma per un momento;
pensarono serpi, a quel tuono;
sognarono l’incantamento.
In sogno gettavano al vento
le loro pezzuole.
Nell’aride bresche anco l’api
si sono destate agli schiocchi.
La vite gemeva dai capi,
fremevano i gelsi nei nocchi.
Ai lampi sbattevano gli occhi
le prime viole.
Han fatto, venendo dal mare,
le rondini tristo viaggio.
Ma ora, vedendo tremare
sopr’ogni acquitrino il suo raggio,
cinguettano in loro linguaggio,
ch’è ciò che ci vuole.
Sì, ciò che ci vuole. Le loro
casine, qualcuna si sfalda,
qualcuna è già rotta. Lavoro
ci vuole, ed argilla più salda;
perché ci stia comoda e calda
la garrula prole.”
Giovanni Pascoli, “Canzone di marzo”, da “Canti di Castelvecchio”, 1903
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Marzo
“Sai, quando arriva marzo
e quella vena di malumore
sotto le mimose – non ti piacevano –
dover ricordare gli ultimi giorni
le porte chiuse a raccogliere il buio
ad aspettare quello che alla fine rimane.
Marzo senza primavera
eppure a ogni lutto nascono fiori
lasciati appassire tra la cenere e il cielo.”
Dolores Carnemolla, “Marzo”
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Benedetto Antelami, “Marzo”, da “Il ciclo dei mesi”, Battistero di Parma
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Sera d’aprile
“Batte la luna soavemente
di là dai vetri
sul mio vaso di primule:
senza vederla penso
come una grande primula anch’essa,
stupita,
sola,
nel prato azzurro del cielo.”
Antonia Pozzi, “Sera d’aprile”, da “Parole“, 1939
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Benedetto Antelami, “Aprile, da “Il ciclo dei mesi”, Battistero di Parma
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Immagine in evidenza: Benedetto Antelami (fine XII – inizio XIII secolo), “Il ciclo dei mesi”, Battistero di Parma