Per me un paese è fatto di case attaccate alle case, di gente che parla affacciata a un balcone. Se i muri non si toccano e i balconi non si guardano, allora non c’è paese ma solo case, magari belle come le ville che in molti desiderano o si costruiscono, ma niente paese.
Un paese poi è fatto di persone che sono lì come ci stessero da sempre, attraverso i loro padri e le loro madri o i loro nonni o attraverso le case dei loro antenati. Ma questo non vuol dire che possono starci solo quelli che ci stanno da sempre; vuol solo dire che bisogna starci come se ci si stesse da sempre, anche se si è arrivati da poco, anche se si viene da chissà dove. Sono le pietre del paese a chiedere la confidenza che viene dal tempo; se non si capisce questo, allora si resterà sempre stranieri.
Il paese insomma ha bisogno che tu gli offra le tue radici, allo stesso modo in cui lui ti offre le sue. Ecco: un paese è fatto di radici che si incontrano e si intrecciano; radici diverse che diventano una sola, attraverso i muri delle case, le vie, la piazza, i muretti che ti offrono un posto per la sosta.
Forse per questo oggi non ci sono più paesi. Le case si allontanano, cercano confini più larghi e più verdi; le persone sentono che sono di passaggio e che bisogna andare oltre e alla svelta, perché il mondo gira e non si può non mettersi in corsa.