È possibile parlare di Resistenza senza parlare di sentieri, di colline valli e montagne? (…)
Camminare è anche un modo di ascoltare. Dunque, scegliamo di andare a piedi su sentieri della memoria. Per chiederci che cosa è capitato tra questi boschi dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945. Per cercare di ascoltare alberi, fiumi, colline, montagne: quanto sono cambiati? Per scoprire come e perché uomini e associazioni mezzo secolo dopo hanno ricostruito sentieri e memorie: che cosa vogliono ricordare e ricordarci? (…)
I valichi alpini che congiungono la provincia d Cuneo e la Francia non sono solo sentieri all’interno di due parchi nazionali, anzi di un unico parco transfrontaliero, ma sono anche la memoria di un cammino – uno dei tanti – compiuti dagli ebrei, che spesso fuggivano e talvolta combattevano anche tra i partigiani. Le valli a fianco del lago Maggiore che portano verso la Svizzera testimoniano non solo gli agguati partigiani e i rastrellamenti fascisti ma anche il lavoro dei contrabbandieri; essi “passavano” oltre frontiera insieme alle merci anche le persone.
In Abruzzo il sentiero utilizzato dai prigionieri di guerra delle truppe alleate per sfuggire ai tedeschi e per ricongiungersi ai propri eserciti è anche cammino di pastori e memoria di uno straordinario esempio di resistenza umanitaria e civile. (…)
I partigiani “andavano in montagna” nel senso che preparavano lo zaino (quando ne avevano uno) e abbandonavano città e cittadine del fondovalle. Per nascondersi, per sfuggire alla leva imposta dalla Repubblica di Salò e alle rappresaglie dei soldati tedeschi. Per avere la possibilità di difendersi meglio (in certe valli bastava rafforzare con uomini e armi le difese naturali, per renderle quasi inespugnabili). Sfruttavano le grotte per nascondersi, le malghe dei pastori e della gente di montagna per trovare qualcosa da mangiare.
C’è anche però un altro aspetto: andare in montagna è anche, per molti, la prima scelta di libertà. Sfuggire le città, considerate il luogo dei fascisti e dell’attendismo più o meno borghese. Spostarsi a piedi e far saltare in aria i ponti ferroviari o pezzi di strada.
Quando nel film “Il partigiano Johnny” – tratto dal romanzo di Beppe Fenoglio – si discute attorno al significato di occupare per qualche settimana la città di Alba, il protagonista non ha dubbi: “Le colline sono infinitamente più importanti della città”. Anche perché “in città si dimentica tutto più in fretta”. Mentre in collina, nelle quasi interminabili attese forzate, o ancor di più durante le lunghe ore di marcia, talvolta solitaria, non si può dimenticare. I ricordi tornano, le emozioni, i volti dei compagni caduti e quelli dei cari lasciati. Quando si cammina non si può dimenticare, anzi forse a volte c’è il problema di non riuscire ad alleggerirsi di ricordi indesiderati.
Nel film “I piccoli maestri”, tratto dal romanzo di Luigi Meneghello, dopo la scelta di un gruppo di studenti universitari di andare in collina per imparare a essere liberi e a “diventare partigiani”, uno di loro, tornato a Padova per passare l’inverno del 1944-45, a un certo punto esclama: “Sono stanco di questa guerra di città. Preferisco farmi ammazzare tra i boschi”, anche perché “in città tutto va avanti come se niente fosse”. Altri invece preferirono passare quel durissimo inverno sulle colline, anche se “non ci sono più foglie per nasconderci”.
Insomma ci si alzava di quota, si cercava la montagna per trovare un terreno e un territorio su cui resistere. In tutti i sensi.
Diego Marani, da “Sentieri partigiani in Italia”, 2006