Prendersi cura di qualcuno significa preoccuparsi del suo benessere; ma preoccuparsene in che senso? Forse semplicemente nel senso di occuparsene. Di darsi da fare, a partire dal presente, da un momento che è qui e ora: il momento in cui vediamo quell’altro che ci sta di fronte e sentiamo che possiamo essere noi la mano che lenisce, la voce che tranquillizza. Che possiamo essere presenti di fronte a chi della nostra presenza ha bisogno. È precisamente quella tensione, allora, che ci guarisce, ci dà sollievo, almeno un poco, nell’atto di prenderci cura di qualcuno o qualcosa – persona, pianta, animale, oggetto inanimato, pianeta; noi stessi, anche. Che ci cura, appunto, creando un cortocircuito capace di spezzare il narcisismo della compassione come pura proiezione dell’ego. Quando abbiamo, di qualcuno, una compassione solo teorica, diciamo: in assenza di cura, quella compassione è un esercizio di narcisismo – certo, può essere un mezzo di conoscenza, un filtro attraverso il quale vedere in una luce nuova noi stessi e quel qualcuno di cui intuiamo il dolore; ma se poi non sopravviene, alla compassione, la cura, rimane un virtuosismo un po’ vuoto.
Invece, quando amiamo, riprendendo la definizione di amore forse più bella e compiuta che sia stata formulata da un filosofo, ovvero quella che Spinoza offre nell’”Etica”, succede che alla presenza di un qualcuno che ispira il nostro amore viviamo una forma di gioia (“laetitia”); che, tradotta dal lessico spinoziano, significa il passaggio a un’accresciuta perfezione. Passare da una minore a una maggiore perfezione vuol dire esistere con più intensità, perché più attivi, più responsabili, più capaci di comprendere le ragioni di ciò che accade in quel labirinto di effetti e di cause che innerva il mondo in cui viviamo. La cura, allora, quando amiamo così, consiste nel fatto stesso di accrescere la nostra gioia di vivere. La cura di chi amiamo, e di noi stessi, sta proprio in questo progresso nella pienezza dell’essere, in questo assumerci la responsabilità di non subire la vita, ma farcene carico”.
Carmen Talarico, da “Ordini e disordini”
“Dello sguardo
Della parola
Delle tue azioni
Di un albero
Del filo d’erba
Della conchiglia
Della tua anima
Di un sogno
Ancora.
Carmen Talarico, da “Ricamo d’anima. Tessiture generatrici”, 2021
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In evidenza: Foto di Sonia Simbolo