Affabulazioni

Gesù figlio dell’uomo

03.04.2024
Fu nel mese di giugno che lo vidi per la prima volta.
Camminava nel campo di grano quando passai con le ancelle, ed era solo.
Il ritmo del suo passo era diverso da quello di ogni altro uomo, e non somigliava, il suo incedere, a nulla che avessi mai visto. Non è in quel modo che gli uomini misurano con i passi la terra.
Mi fermai un istante e sollevai la mano in segno di saluto. Ma lui non si voltò, lui non mi rivolse lo sguardo.
Lo odiai.
Respinta in me stessa, così mi sentii; e fredda come se intorno a me infuriasse una tempesta di neve.
Ero scossa da brividi.
Quella notte lo vidi in sogno; mi dissero, dopo, che gridavo nel sonno e mi agitavo senza pace nel letto.
Era il mese d’agosto quando lo rividi.
Il mio schiavo, l’egizio, venne da me e disse:
«Quell’uomo è venuto di nuovo. È là, nel tuo giardino, seduto all’ombra del cipresso».
Guardai, e fremette l’anima mia, perché lui era bello.
Indossai allora abiti di Damasco, sandali dorati e lasciai la casa per andare da lui. E quando l’ebbi di fronte, gli dissi:
«Buongiorno a te».
E lui disse: «Buongiorno a te, Miriam».
E mi guardò, e i suoi occhi notturni mi videro come nessun uomo mi aveva mai vista.
D’improvviso fui come nuda, e ne ebbi vergogna.
Eppure mi aveva solo detto: «Buongiorno a te».
Gli dissi allora: «Non vuoi entrare nella mia casa?».
E disse lui: «Non sono già nella tua casa?».
Allora non capii cosa intendesse: oggi lo so.
E io dissi: «Non vuoi dividere il pane e il vino con me?».
E lui disse: «Sì, Miriam, ma non ora».
E la voce del mare era nelle sue parole, e la voce del vento e degli alberi.
E quando le pronunciò, la vita parlò alla morte.
Perché, amico mio, io ero morta, sappilo.
Ero una donna che aveva divorziato dall’anima.
Vivevo separata da questo essere che ora vedi.
Appartenevo a tutti gli uomini, e a nessuno.
Prostituta, mi chiamavano, e donna posseduta da sette demoni.
Ero maledetta, ed ero invidiata.
Ma quando i suoi occhi d’aurora guardarono i miei occhi, tutte le stelle della mia notte si dileguarono, e io divenni Miriam, solo Miriam, una donna ormai perduta alla terra che aveva conosciuto, e che si era ritrovata in un mondo diverso.
E ancora e nuovamente gli dissi: «Vieni nella mia casa e dividi pane e vino con me».
E lui: «Perché m’inviti a essere tuo ospite?».
E io: «Ti prego, vieni nella mia casa».
Tutto quello che in me era zolla, tutto quello che in me era cielo, lo chiamava a gran voce.
Lui allora mi guardò, e il meriggio dei suoi occhi era su di me, e disse:
«Tu hai molti amanti, ma io solo ti amo.
Gli altri, quando ti sono vicini, amano se stessi: io amo te in te stessa.
Altri uomini vedono in te una bellezza che appassirà prima ancora dei loro anni.
Ma io vedo in te una bellezza che non appassirà mai, e nell’autunno dei tuoi giorni questa bellezza non avrà paura di specchiarsi, e non conoscerà oltraggio. Solo io amo in te l’invisibile».
Poi disse a voce bassa: «Va’ ora. Se questo cipresso è tuo e non vuoi che sieda alla sua ombra, andrò per la mia strada».
E io gridai a lui e gli dissi: «Maestro, vieni nella mia casa. Ho per te incenso da bruciare, e una bacinella d’argento per i tuoi piedi.
Tu sei un estraneo ma non sei un estraneo.
Ti supplico, vieni nella mia casa».
Allora si alzò e mi guardò proprio come immagino che le stagioni dall’alto guardino verso il campo: sorrise.
E ancora disse: «Tutti gli uomini ti amano per loro stessi.
È per te che io ti amo».
Poi se ne andò.
Nessun altro uomo camminò mai come lui camminava.
Era un soffio nato nel mio giardino, che alitava verso oriente?
O una tempesta, che avrebbe squassato sin dalle fondamenta tutte le cose?
Non lo sapevo, allora, ma quel giorno il tramonto dei suoi occhi uccise in me il drago, e divenni una donna, io divenni Miriam, Miriam di Mijdel.
Khalil Gibran, da “Gesù figlio dell’uomo”, 1928
*****
Nell’immagine: Jean-Jacques Henner, “Madeleine agenouillée”, 1885

Lascia un commento