Poi, c’erano alcuni che dipingevano le strade nelle grandi città, le coloravano così stupendamente che gli si inumidivano gli occhi quando le vedeva.
Aveva visto tutto questo anche in città, quelle poche volte che vi era andato, e il suo cuore tremava d’ansia per sapere come venivano fatte quelle cose, da dove arrivavano e perché erano così belle?
Nessuno parlava di come queste persone fossero diventati pittori o lui non l’aveva scoperto, ma Nelu bruciava di desiderio e bramava con tutto il cuore di diventare un artista.
La fortuna di Nelu consisteva in due mucche, un piccolo cortile con un cane, alcune galline, una stalla, una catapecchia fatiscente con una stanza che resisteva da anni sopra la sua testa e qualche brandello di terreno dietro la casa, grande abbastanza per poter piantare due viti e seminare tre chicchi di mais. La povertà non lo disturbava affatto, perché aveva due mucche, Florica e Aurica, ricevute in eredità dalla nonna passata a miglior vita un anno prima, e grazie a loro si considerava un valido abitante del villaggio.
Portava il latte al signor sindaco, portava il latte a padre Nae e a Ghiţă, il capo della polizia, poi, passava a trovare lelea Mioara e la sua vita era quasi un paradiso. Un paradiso a cui mancava qualcosa, cioè quel desiderio insoddisfatto di essere un pittore. E dal momento che non aveva studiato troppo, visto che non aveva passato molto tempo a scuola, però aveva perlomeno imparato a leggere e scrivere, un bel giorno prese due litri di latte e li portò all’insegnante per scoprire il segreto della pittura. Amăriuței, sebbene non fosse la persona più stimabile del villaggio, visto che si era appassionato troppo all’alcool da quando sua moglie lo aveva lasciato, ricevette volentieri il latte e chiarì subito.
– Ascolta, tu senti qualcosa che brucia in te come il fuoco?
– Brucia, nea’ Petronele, tanto che buco il letto di notte.
– Beh, questa è la pittura, caro Nelu. Questo è il fuoco dell’arte, va in città, compra le cose necessarie, pennelli, guazzi e poi inizia a dipingere.
-Tutto qui? chiese diffidente.
– Non è chissà che cosa Nelu, non vorrai mica diventare Picasso.
– Picasă?
– Picasă capisci, Picasă! Questo Picasso fu un grande pittore e tu sarai Picasă, il suo successore!
Ridacchiò l’insegnante e mandò giù un altro bicchiere di grappa.
Da quel momento anche Nelu sperimentò un’illuminazione. La pittura non aveva più tanti segreti per lui.
Una settimana dopo questa chiacchierata, Nelu era andato in città con latte e formaggio. Vendette tutto al mercato e con i soldi ricavati andò al supermercato, dove sapeva che si poteva trovare qualsiasi cosa, per comprare ciò che era necessario per poter realizzare il suo sogno. Non è che aveva molto chiaro ciò che doveva comperare, ma le commesse gli consigliarono di acquistare degli spray colorati con i quali si poteva dipingere su qualsiasi cosa, sul legno, sui muri e recinzioni, insomma su qualunque altra cosa fosse alla sua portata. Fortunatamente portava con sé altri soldi che era riuscito a risparmiare, visto che non era affatto spendaccione per natura, anche perché, a quanto sembrava, questo lavoro da pittore era abbastanza costoso, ma non si spaventava lui per così poco.
Ringraziò, pagò e partì allegramente verso il villaggio, deciso a salire i gradini dell’immortalità come artista da quella stessa sera.
Arrivato a casa, dipinse per prima la stanzetta, perché era triste e nera come una vecchia in un giorno di lutto. Disegnò delle bellissime case, come aveva visto lui nei film e un campo verde verde, tanto che aveva quasi voglia di stendersi sopra mentre Florica e Aurica pascolavano silenziosamente accanto. Quando si rese conto di aver pensato a loro e che era soltanto grazie a loro che la sua ambizione di diventare artista si fosse avverata, decise che doveva fare qualcosa anche per loro. Le poverine lo meritavano visto che lavoravano tutto il giorno, brucavano l’erba per dare del buon latte, delle volte le aveva messe addirittura a trainare il piccolo carretto per portare più legna o nel giogo per arare quel misero campo dietro la casa.
Lavorò per alcune ore buone per renderle bellissime secondo i suoi gusti da artista. Dipinse Florica di un verde simile alle piume dei pappagalli e disegnò dei fiori gialli sul collo, come una collana, e poi altri sul suo ventre, tanto che era una vera gioia guardarla. Aurica indossava un velo rosa, sembrava una caramella, e sopra il velo Nelu mise anche alcuni fiorellini dello stesso colore del cielo, come quelli che si possono ammirare sui campi d’estate.
Erano proprio delle mucche meravigliose adornate secondo i gusti artistici del nuovo artista, tanto che alla fine firmò sui loro fianchi “Nelu Picasă, pittore”.
Quasi ubriaco di soddisfazione si addormentò e sognò come al mattino l’intero villaggio l’avrebbe ammirato per la sua arte e come la piccola duduca Mitriţa avrebbe piegato gli occhi per la vergogna di averlo rifiutato al ballo di Bănică di Ciocoi e per aver preferito Fane di Lilica di Neamţu.
Al mattino, per strada, l’intero villaggio lo guardava come se fosse un extraterrestre. Tutti quanti con occhi grandi quanto i piatti della domenica e le labbra increspate come durante l’inondazione di due anni fa. Lui camminava pavoneggiandosi, guardandoli dall’alto, come un vero artista affermato e li salutava con dei gesti che pareva che stesse distribuendo la luce.
– Nelu, ma sei diventato pazzo, che cosa hai avuto da spartire con le povere bestie, accidenti a te, guarda come le hai ridotte le poverine? Che cosa ti hanno fatto o hai preso anche tu il vizio dell’alcool?
– Sono diventato pittore, dodă Floarea. Adesso va di moda così, non ha visto lei la mucca di Milka?
– Ma quale pittore, pazzo, quelle sono mucche di cioccolato, queste sono nostre, mucche rumene, poverine, non torturarle più che mangi solo grazie a loro. Portale, mannaggia a te, subito al fiume e lavale che le ha viste già l’intero villaggio!
– Fanno bene a vederle, da ora in poi sono un pittore, sono un artista come quelli di Discovery.
– Ma quale pittore, scemo che non sei altro, che discoveri sogni tu?
– Sono Nelu Picasă, pittore!
Disse con orgoglio poi prese la stradina che portava al pascolo.
Si fermò sulla riva del fiume Pesena, all’ombra degli ontani e cominciò a pensare alle sue cose, a come sarebbe diventato ricco e famoso e sarebbe venuto nel villaggio con un’auto che avrebbe lasciato a bocca aperta tutti quanti, una macchina dipinta proprio da lui, quando sarà diventato un vero pittore, e mentre passerà per il villaggio resteranno tutti di stucco.
La sera, ogni persona parlava di lui, ogni anima viva di Amărasca parlava di come la mente di Nelu, già poca, si fosse diminuita ancora. Mentre passava davanti all’osteria, il prete Nae venne da lui, era la prima volta che il prete si alzava e andava da un comune mortale, poiché di solito aspettava che fossero loro ad andare da lui, e questo da quando nascevano fino a quando non oltrepassavano quelle porte coperte di terra. Il prete gli chiese di fermarsi un po’ dietro l’osteria per bere insieme un bicchiere di vino e parlare di ciò che era successo. Felice dell’onore Nelu si fermò a parlare con sua santità.
– Insomma, Nelu, che sia proprio tu a farci questo, tu che sei una persona di spicco nel nostro villaggio e una brava persona? In che senso diventare pittore, non hai sentito tu che vita difficile hanno questi, come soffrono, come li brucia il fuoco della creatività e così via, perché l’arte se non è giusta è peccato e i peccati vengono puniti da Colui che sta nel cielo, ed ecco che così finirai per bruciare nel fuoco dell’inferno?
– Grazie del consiglio padre, ma che cosa posso farci, da molti giorni mi è venuto così di diventare pittore e ho dentro un desiderio e una forza che non riesco più a controllare. Padre, se non dipingo, muoio, e se non lo faccio, la mia vita è sprecata.
– È vero Nelu che anche questo potrebbe essere un segno, ma non può essere un buon segno, questo desiderio non viene da Dio, è bene evitare di mettersi nei guai con l’impuro.
– Insomma santità, secondo lei che cosa dovrei fare, perché io non riesco ad oppormi a questo tormento. Dipingerò perché questo sento io che è il mio destino.
– Beh, nessuno dice di non dipingere, ma dipingi pure tu come tutti quanti, non tormentare gli animali, i veri artisti dipingono chiese e icone su legno o vetro. Inizia a dipingere l’arte del Signore, e lascia perdere queste stupidaggini.
– In città ho visto che si dipinge sui muri e sulle macchine. E in TV fanno vedere sempre come gente di tutti i tipi dipinge.
– Lascia stare la TV, lì dicono un sacco di bugie. Per carità, torna in te e fai qualcosa con quest’arte, perché temo che tutto ciò non sia proprio di buon augurio. Sei sulla bocca di tutti in Amărasca, persino i bambini e le ragazze parlano di te, e non mi meraviglierebbe se non avessero sentito parlare di te anche nel villaggio vicino e chissà se non addirittura in città. Non vorrei che venissero a sapere di te quelli di ProTv e così diventeremo lo zimbello di tutto il Paese, non siamo noi già abbastanza disgraziati?
Padre Nae ora pensava che forse questa situazione poteva portare alla loro salvezza, lasciare che Nelu andasse avanti con la sua scempiaggine e poi chiamare la televisione, sperando che in questo modo anche il governo avrebbe preso coscienza della loro povertà. Eppure non poteva lasciare che Nelu facesse il pazzo nel villaggio perché rischiava di mettersi in testa i parrocchiani. Giacché incapace di prendere una decisione sul destino del villaggio, suggerì a Nelu di provare a fare della vera arte e lasciare stare i poveri animali.
Il giorno seguente Nelu si svegliò presto, prima dell’alba e del canto del gallo. Mise i suoi utensili in una bisaccia e si avviò al villaggio per mostrare loro che cosa era in grado di fare. Regnava un silenzio simile a quello di un cimitero vuoto, dormivano le anime dei cani e persino le pareti delle case parevano addormentate, tanto che gli sembrava addirittura che la tinta dei muri gocciolasse nelle fondamenta delle case.
Iniziò con il Municipio in quanto era l’edificio più prestigioso del villaggio. Fece lì un disegno, cercando di riprodurre quello con il “compagno” e scrisse anche quel messaggio che non capiva, “Torno tra 5 minuti”.
Poi prese la stradina, e qua e là, una dopo l’altra dipinse ogni sorta di miniature o disegni, come aveva visto lui in città, molti colori mischiati, fiori, case, persone, il sole e di volta in volta qualche messaggio che gli era rimasto in testa, del tipo “fuck the system”, che non capiva assolutamente visto che era nella lingua degli americani ma gli piaceva come suonava, poi quello che diceva “la mia è la più lunga e la più grande” scritto proprio sulla casa di Mitriţa, perché si illudeva che il messaggio riguardasse la pittura e ovviamente per mostrargli che non era affatto uno stupido.
Sulla sede della stazione di polizia scrisse un messaggio che amava molto, “arte, non vandalismo” e non si considerò soddisfatto fino a quando non dipinse persino sulla porta della chiesa un bell’angelo grande e sotto l’angelo un messaggio che aveva visto in città “Gesù sta arrivando, nascondiamoci”.
Orgoglioso di ciò che aveva fatto tornò a casa e munse Florica e Aurica, guardandole con un occhio critico e l’altro soddisfatto. Così, verdi e rosa, con dei fiori e la sua firma da artista erano le mucche più belle del mondo e sentiva il cuore correre veloce nel petto, come un cane verso il cancello pronto a mordere uno sconosciuto.
Si addormentò e sognò che Mitriţa gli si avvicinava con occhi imbarazzati e prendeva la sua brillante mano da artista, la stringeva tra le sue piccole mani, poi la posava sul suo ricco e carnoso petto, tale e quale al più bel pollo che la nonna sacrificava di solito per le sante feste. Si svegliò in preda allo schiamazzo, come se tutta l’Amărasa fosse nel suo cortile. C’era chi urlava, chi sbraitava. Ghiță, il capo della polizia lo scosse perbene finché non lo svegliò e senza aspettare che borbottasse qualcosa, gli elargì due schiaffi talmente forti che le orecchie gli fischiarono come il treno nella stazione.
– Ascolta bene, questa non è arte, capisci, ciò che stai facendo tu è la più grande stupidità. Questa è una disgrazia per tutti noi. Ascoltami, ti conviene finirla con questa storia perché altrimenti ti butto dentro e non vedrai più il sole per il resto dei tuoi giorni. Sei fortunato che padre Nae mi ha fermato perché altrimenti ti mangiava la galera, capisci!
– Ma insomma…
– Niente insomma! È uscito in piazza tutto il villaggio, con me non scherzi, capisci? Questi qua ti scuoiano vivo, con mucche, pittura e tutto il resto. Non so come farai, ma fino a domani ti sbarazzerai di tutti queste pitture, ci siamo capiti!? Altrimenti prenderò le tue mucche come multa e ti terrò al fresco finché non marcirai. Va’ in città, compra la calce e risparmiaci dell’arte del pittore Picasă perché a noi non piacciono i pittori o i pittori Picasă.
E per essere abbastanza chiaro gli suonò un altro forte schiaffo.
– E ora va’, fila in città e fino a domani non voglio vedere più ombra di pittura in città.
Nelu andò via con le lacrime agli occhi. Il suo essere era completamente sconvolto. Non capiva come non potessero piacere, insomma aveva dipinto cose che aveva visto in città. Respirava affannosamente e sentiva l’anima pesante come una palla di cannone legata alla gamba. Voleva tornare indietro, spiegarsi, ma in qualche modo sentiva di non avere più la forza o le parole per farlo. Sentiva semplicemente di non avere nessuno con cui parlare, il suo villaggio non capiva l’arte. Cosicché partì per la città, impensierito, come un agnello perso in un branco di lupi che non sapeva più come salvarsi.
Ritornò nel cuore della notte deciso a distruggere la sua opera. Mentre si dirigeva in città provò a trovare la risposta al perché dovesse essere così, perché un artista non potesse essere apprezzato e dovesse finire bruciato sul rogo del malizioso disprezzo altrui.
Pensava al suo crudele destino e al suo futuro insignificante senza la pittura. Il suo desiderio bruciava ancora più forte dentro di lui e presto le fiamme gli bruciarono la carne, tanto che nelle narici riusciva a sentire l’odore di ceneri fresche. Ma doveva, non poteva altrimenti, doveva distruggere la sua pittura.
“La distruggerò e ricomincerò, come un vero artista”, pensava. Sentiva di essere abbastanza forte per farlo.
Così, per la seconda volta, entra nel villaggio a quell’ora addormentato trascinandosi dietro due grandi taniche di benzina, le mani gli dolevano, ma non gli importava.
Mezz’ora dopo, appollaiato sul tetto della sua catapecchia, guardava le fiamme danzare diafane sul villaggio, vedeva le lingue infuocate del drago inghiottire i suoi dipinti, il suo lavoro, sciogliere quegli ingrati farisei. Il cielo era arrossito e le stelle luccicavano coperte dal velo di fumo nero che sorgeva dalla sua arte, dalla sua anima. Guardava il dipinto ingrandirsi e bruciare, sentiva le sue guance arrossarsi e gli occhi brillare di gioia. Solo una lacrima, una piccola leggera lacrima come la prima vera soddisfazione da una vita. Era il dipinto più bello che avesse mai dipinto. Sorrise e con la mano in aria, come se brandisse un pennello incantato, firmò.
“Nelu Picasă, pittore”