“Svegliandoci, sappiamo, a volte, di aver veduto in sogno la verità con tanta palpabile chiarezza, da esserne perfettamente appagati. Ci viene, una volta, mostrata una scrittura che dissigilla a un tratto il segreto della nostra esistenza; altre volte, una sola parola, accompagnata da un gesto imperioso o ripetuta in una cantilena puerile, candisce in una luce di lampo un intero paesaggio di ombre, consegnando ogni dettaglio alla sua ritrovata e definitiva fattezza. Al risveglio, tuttavia, pur ricordando noi limpidamente tutte le immagini del sogno, quella scrittura e quella parola hanno perduto la loro forza veritativa e, con tristezza, le rivoltiamo, sfatate, da ogni parte, senza più riuscire a raccapezzarne il portento. Abbiamo il sogno, ma, di esso, inspiegabilmente ci manca l’essenziale, che è rimasto sepolto in quella terra dove, dèsti, non abbiamo più accesso.
Di rado facciamo in tempo a osservare quel che pure dovrebbe esserci perfettamente evidente e, cioè, che invano crediamo in un altro luogo o in un altro tempo il segreto del sogno: il sogno esiste per noi tutt’intero nell’attimo in cui ci balena in mente al risveglio. Lo stesso ricordo che ci ha dato il sogno, ci porge anche la mancanza che l’affligge: un solo gesto li contiene entrambi.
Un’esperienza analoga ha luogo nella memoria involontaria. Qui il ricordo, che ci restituisce la cosa dimenticata, ne è esso stesso ogni volta dimentico e questa dimenticanza è la sua luce. Di qui, però, il suo materiarsi di nostalgia: una nota elegiaca vibra così tenacemente in fondo a ogni memoria umana, che, al limite, il ricordo che non ricorda nulla è il ricordo più forte.
Lungi dal vedere in quest’aporia del sogno e del ricordo un limite e una debolezza, dobbiamo invece riconoscerla per quella che essa è: una profezia che concerne la struttura stessa della coscienza. Non ciò che abbiamo vissuto e, poi, dimenticato, torna ora, imperfettamente, alla coscienza, ma, piuttosto, noi accediamo, in quel punto, a ciò che non è mai stato, alla dimenticanza come patria della coscienza. Per questo la nostra felicità è intrisa di nostalgia: la coscienza contiene in sé il presagio dell’incoscienza e proprio quel presagio è, anzi, la sua perfezione. Ciò significa che ogni attenzione tende, in ultima istanza, a una svagatezza e che, nel suo fastigio estremo, il pensiero è solo un trasalimento. Sogno e ricordo tuffano la vita nel sangue di drago della parola e, in questo modo, la rendono invulnerabile alla memoria. L’immemorabile, che precipita di memoria in memoria senza mai venire esso stesso al ricordo, è propriamente indimenticabile. Questo indimenticabile oblio è il linguaggio, è la parola umana.
Così la promessa che il sogno formula nel suo stesso mancarsi è quella di una lucidità così potente da restituirci alla distrazione, di una parola così compiuta da riconsegnarci all’infanzia, di una ragione così sovrana da comprender sé incomprensibile.”
Giorgio Agamben, da “Idea della prosa”, 1985
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In evidenza: Franz Marc, “Il sogno”, 1912