“Forse un giorno scriverò il vero diario, fatto di pensieri atroci, di mostruosità e di voglia innaturale di uccidersi. Il vero diario è nella mia coscienza ed è una lapide tristissima, una delle tante lapidi che hanno sepolto la mia vita. È stato detto da qualcuno: «Chi ha vissuto più volte deve morire più volte». Frase stupenda, che riassume il terribile concetto della stupidità irata dell’uomo che non concepisce le colpe degli altri e tollera solamente le proprie.”
Alda Merini
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Sono nata il ventuno a primavera
“Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera.”
Alda Merini, da “Da Vuoto d’amore”, 1991
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Diario bizantino
A questo punto
“A questo punto smetti
dice l’ombra.
T’ho accompagnato in guerra e in pace e anche
nell’intermedio,
sono stata per te l’esaltazione e il tedio,
t’ho insufflato virtù che non possiedi,
vizi che non avevi. Se ora mi stacco
da te non avrai pena, sarai lieve
più delle foglie, mobile come il vento.
Devo alzare la maschera, io sono il tuo pensiero,
sono il tuo in-necessario, l’inutile tua scorza.
A questo punto smetti, strappati dal mio fiato
e cammina nel cielo come un razzo.
C’è ancora qualche lume all’orizzonte
e chi lo vede non è un pazzo, è solo
un uomo e tu intendevi di non esserlo
per amore di un’ombra. T’ho ingannato
ma ora ti dico a questo punto smetti.
Il tuo peggio e il tuo meglio non t’appartengono
e per quello che avrai puoi fare a meno
di un’ombra. A questo punto
guarda con i tuoi occhi e anche senz’occhi.”
Eugenio Montale, da “Diario del ’71 e del ’72”, 1973
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Vivere
Vivere? Lo facciano per noi i nostri domestici.
Villiers De L’Isle-Adam.
I
È il tema che mi fu dato
quando mi presentai all’esame
per l’ammissione alla vita.
Folla di prenativi i candidati,
molti per loro fortuna i rimandati.
Scrissi su un foglio d’aria senza penna
e pennino, il pensiero non c’era ancora.
Mi fossi ricordato che Epittèto in catene
era la libertà assoluta l’avrei detto,
se avessi immaginato che la rinunzia
era il fatto più nobile dell’uomo
l’avrei scritto ma il foglio restò bianco.
Il ricordo obiettai, non anticipa, segue.
Si udì dopo un silenzio un parlottio tra i giudici.
Poi uno di essi mi consegnò l’accessit
e disse non ti invidio.
II
Una risposta
da terza elementare. Me ne vergogno.
Vivere non era per Villiers la vita
né l’oltre vita ma la sfera occulta
di un genio che non chiede la fanfara.
Non era in lui disprezzo per il sottobosco.
Lo ignorava, ignorava quasi tutto
e anche sé stesso. Respirava l’aria
dell’Eccelso come io quella pestifera
di qui.
Eugenio Montale, da “Quaderno di quattro anni” (1973 – 1977)
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La Sicilia, il suo cuore
“Come Chagall, vorrei cogliere questa terra
dentro l’immobile occhio del bue.
Non un lento carosello di immagini,
una raggiera di nostalgie: soltanto
queste nuvole accagliate,
i corvi che discendono lenti;
e le stoppie bruciate, i radi alberi
che s’incidono come filigrane.
Un miope specchio di pena, un greve destino
di piogge: tanto lontana è l’estate
che qui distese la sua calda nudità
squamosa di luce – e tanto diverso
l’annuncio dell’autunno,
senza le voci della vendemmia.
Il silenzio è vorace sulle cose.
S’incrina, se il flauto di canna
tenta vena di suono: e una fonda paura
dirama.
Gli antichi a questa luce non risero,
strozzata dalle nuvole, che geme
sui prati stenti, sui greti aspri,
nell’occhio melmoso delle fonti;
le ninfe inseguite
qui non si nascosero agli dèi; gli alberi
non nutrirono frutti agli eroi.
Qui la Sicilia ascolta la sua vita.”
Leonardo Sciascia, “La Sicilia, il suo cuore”, da “Foglietti di viaggio”, 1952
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Marc Chagall “Moi et le village”, 1911
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Nella moltitudine
“Sono quella che sono.
Un caso inconcepibile
come ogni caso.
In fondo avrei potuto avere
altri antenati,
e così avrei preso il volo
da un altro nido,
così da sotto un altro tronco
sarei strisciata fuori in squame.
Nel guardaroba della natura
c’è un mucchio di costumi: di
ragno, gabbiano, topo campagnolo.
Ognuno calza subito a pennello
e docilmente è indossato
finché non si consuma.
Anch’io non ho scelto,
ma non mi lamento.
Potevo essere qualcuno
molto meno a parte.
Qualcuno d’un formicaio, branco, sciame ronzante,
una scheggia di paesaggio sbattuta dal vento.
Qualcuno molto meno fortunato,
allevato per farne una pelliccia,
per il pranzo della festa,
qualcosa che nuota sotto un vetrino.
Un albero conficcato nella terra,
a cui si avvicina un incendio.
Un filo d’erba calpestato
dal corso di incomprensibili eventi.
Uno nato sotto una cattiva stella,
buona per altri.
E se nella gente destassi spavento,
o solo avversione,
o solo pietà?
Se al mondo fossi venuta
nella tribù sbagliata
e avessi tutte le strade precluse?
La sorte, finora,
mi è stata benigna.
Poteva non essermi dato
il ricordo dei momenti lieti.
Poteva essermi tolta
l’inclinazione a confrontare.
Potevo essere me stessa – ma senza stupore,
e ciò vorrebbe dire
qualcuno di totalmente diverso.
Wisława Szymborska, “Nella moltitudine”, da “Attimo” 2002, in “La gioia di scrivere. Tutte le poesie (1945-2009)”
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In evidenza: Salvador Dalì, due pagine del suo diario