“Temperare una matita colorata, disegnare l’uscita in fondo al cielo, cavalcare un unicorno e scappare dalla parte opposta a questo giorno.”
Fabrizio Caramagna
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Fuga dal mondo
“Voglio tornare nell’infinito
verso di me,
già fiorisce il giglio autunnale
della mia anima,
forse è troppo presto per tornare!
Oh, io muoio tra di voi
perché mi soffocate con voi.
Vorrei tirare fili intorno a me
ponendo fine al caos!
Confondendovi,
ingarbugliandovi,
per fuggire
verso di me!”
Else Lasker-Schüler, “Fuga dal mondo”, da “Styx”, 1902
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Goncalo Claro, “Beach Bird’, 2019
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Fuga
“La fuga dal reale,
ancora più lontano la fuga dal fantastico,
più lontano di tutto, la fuga da se stesso,
la fuga dalla fuga, l’esilio
senza acqua e parola, la perdita
volontaria di amore e memoria,
l’eco
che non corrisponde più all’appello, e questo che si fonde,
la mano che diviene enorme e che sparisce
sfigurata, tutti i gesti insomma impossibili,
se non inutili,
l’inutilità del canto, la purezza
del colore, né un braccio che si muova né un’unghia che cresca.
Non la morte tuttavia.Ma la vita: captata nella sua forma irriducibile,
senza più ornamento o commento melodico,
vita a cui aspiriamo come pace nella stanchezza
(non la morte),
vita minima, essenziale; un inizio; un sonno;
meno che terra, senza calore; senza scienza né ironia;
quello che si possa desiderare di meno crudele: vita
in cui l’aria, non respirata, mi avvolga;
nessuno spreco di tessuti; loro assenza;
confusione tra mattino e sera, senza più dolore,
perché il tempo non si divide più in sezioni; il tempo
eliminato, domato.
Non ciò che è morto né l’eterno o il divino,
soltanto quello che è vivo, piccolo, silenzioso, indifferente
e solitario vivo.
Questo io cerco.”
Carlos Drummond De Andrade (scrittore e poeta brasiliano), “Fuga”
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Street art di Omaid H. Sharifi (Kabul)
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La città
“Dicesti: «Andrò in un’altra terra, su un altro mare. Ci sarà una città meglio di questa. Ogni mio sforzo è una condanna scritta; e il mio cuore è sepolto come un morto. In questo marasma quanto durerà la mente? Ovunque giro l’occhio, ovunque guardo vedo le nere macerie della mia vita, qui dove tanti anni ho trascorso, distrutto e rovinato».
Non troverai nuove terre, non troverai altri mari. Ti verrà dietro la città. Per le stesse strade girerai. Negli stessi quartieri invecchierai; e in queste stesse case imbiancherai. Finirai sempre in questa città. Verso altri luoghi – non sperare – non c’è nave per te, non c’è altra via. Come hai distrutto la tua vita qui in questo cantuccio, nel mondo intero l’hai perduta.”
Kostantinos Kavafis, “La città”, Traduzione di Nicola Crocetti
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Fuga
“Anima, andiamo. Non ti sgomentare
di tanto freddo, e non guardare il lago,
s’esso ti fa pensare ad una piaga
livida e brulicante. Sí, le nubi
gravano sopra i pini ad incupirli.
Ma noi ci porteremo ove l’intrico
dei rami è tanto folto, che la pioggia
non giunge a inumidire il suolo: lieve,
tamburellando sulla volta scura,
essa accompagnerà il nostro cammino.
E noi calpesteremo il molle strato
d’aghi caduti e le ricciute macchie
di licheni e mirtilli; inciamperemo
nelle radici, disperate membra
brancicanti la terra; strettamente
ci addosseremo ai tronchi, per sostegno;
e fuggiremo. Con la piena forza
della carne e del cuore, fuggiremo:
lungi da questo velenoso mondo
che mi attira e mi respinge. E tu sarai,
nella pineta, a sera, l’ombra china
che custodisce: ed io per te soltanto,
sopra la dolce strada senza meta,
un’anima aggrappata al proprio amore.”
Madonna di Campiglio, 11 agosto 1929
Antonia Pozzi, da “Antonia Pozzi, Parole”, 1989
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Street art di Millo (Chieti)
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Lo sconfitto
“Dietro sono rimaste le macerie:
fumanti brandelli della tua casa,
estati incendiate, sangue disseccato,
su cui s’ingrassa – ultimo avvoltoio –il vento.
Tu ti metti in viaggio, e vai avanti
verso il tempo detto a ragione futuro.
Perché nessuna terra
possiedi,
perché nessuna patria
è né sarà mai tua,
perché in nessun paese
può radicare il tuo cuore disabitato.
Mai – ed è così semplice –potrai aprire un cancello
e dire solo questo: “Buongiorno,
mamma”.
Anche se effettivamente il giorno è buono,
c’è grano nelle aie,
e gli alberi
stendono verso di te i loro stanchi
rami, offrendoti
frutti e ombra per farti riposare.”
Ángel González, da “Grido, non serenata. Poesie di lotta e di resistenza” –
Traduzione di Dario Puccini
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Confessione del fuggitivo
“Sono felice solo nell’andarmene.
Non tra le quattro mura, con relative spade,
bensì tra qua e là, tra una casa e l’altra,
nessuna mia, preferibilmente.
Non posso più né voglio stare fermo.
Né ora né più tardi. Né qua né là.
Semmai laggiù, dove ora tu ti trovi,
chiunque tu sia, metti il tuo nome
sulle mie labbra assetate, insaziabili.
Io non sono io né posso avere casa.
Non dico ormai perché mai lo sono stato,
né mai ne ho avuta una, sempre forestiero
dentro e fuori di me. Sono ciò che non sono:
il barbone che dorme sotto il ponte
che unisce le mie due rive e io l’attraverso
senza poter fermarmi giorno e notte.
Scrivo perché cerco, e perché spero.
Ma non so più che cosa, l’ho scordato.
Spero che nello scrivere riuscirò a ricordare.
Persisto nelle intemperie.
Disvivo tra parentesi
dentro lo spazio vivo e il tempo morto
dell’attesa di che cosa, tra due qui.
Mai essere in ma tra. Esci da me,
chiunque tu sia, lasciami in pace
o falla finita con me e con l’amaro
miele di vivere solo, a parlare da solo.
Ho deciso che la mia patria sia
non decidere, non essere in posto alcuno
se non di passaggio, ponti, navi, treni,
dove io sia solo il passeggero
che so di essere, sapendo
che la pace m’inquieta,
mi spaventa la quiete,
che non m’interessa la sicurezza,
e solo sono felice sapendomi fugace.”
Juan Vicente Piqueras, da da “Adverbios de lugar”, 2004 – Traduzione di Raffaella Marzano
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Foto di Alicja Posłuszna
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Immagine in evidenza: Pere Borrell del Caso, “Escapando de la crítica”, 1874