Una volta un uomo mi disse che non ero di buon comando. «Era una frase che usava mia madre per parlare di certi domestici che avevamo in casa: non sono di buon comando», mi spiegò. «Come te».
Una volta un uomo mi disse che i sampietrini erano fatti per costringere le donne a star zitte: troppo impegnate, con i tacchi, a non inciamparsi e cadere. E rise, perché portavo i tacchi pure io.
Una volta un uomo mi disse che lui e altri due uomini, la mattina dopo una serata letteraria, si erano telefonati per parlare di me. «È un cioccolatino», aveva commentato uno, «ma chissà se qualcuno di noi la scarterà».
Una volta un uomo mi disse, dopo che lo avevo rifiutato: «Sembri così sensuale, e invece». Non pensò di non essere abbastanza attraente o che non sopportassi l’odore delle sue ascelle. Pensò che fossi un po’ frigida, perché non volevo andare a letto con lui.
Una volta un uomo mi disse: «Complimenti, anche se io non leggo le donne. Ma mia moglie dice che è brava».
Me lo dicono spesso, gli uomini: i medici che mi visitano, i sindaci che mi invitano a presentare i miei libri nei loro comuni, i presidi delle scuole dove le professoresse di italiano fanno leggere agli studenti i miei romanzi.
Una volta un uomo mi disse che non aveva mai letto Alice Munro perché parlava di temi che non lo riguardavano. «Tipo?» chiesi. «Tipo la maternità», rispose. «Ma tu non sei nato da una madre?» obiettai. Qualche anno dopo Alice Munro vinse il Nobel per la Letteratura, e non so se a quel punto lui l’abbia letta.
Una volta a una festa un uomo di potere guardò una mia coetanea e disse: «Puzza proprio di miseria». Dissi: «Chissà allora che odore emano io, secondo te, vista la classe sociale da cui provengo». «Che c’entra?», replicò. «Tu sei così sexy, sembri una squaw». E non si rese conto di quante categorie avesse insultato in una sola frase.
Una volta un uomo, un docente universitario seduto a cena accanto a me, mi disse che mangiavo in modo erotico. Il mio compagno mi sedeva di fianco. La mattina dopo il docente espresse il desiderio di viaggiare in macchina con me, verso il convegno all’estero che ci aspettava. Risposi che avrei viaggiato con il mio compagno. Durante il convegno, quel docente denigrò il mio romanzo, criticandolo davanti a studenti, professori e altri scrittori, senza averlo letto. Anzi, rivendicando proprio il diritto di criticarlo senza leggerlo. Poi, tornato in Italia, mi invitò a parlare di quello stesso romanzo nella sua facoltà: perché mi stimava molto, disse.
Ogni volta che non ho abbassato la testa davanti a ciascuno di questi uomini, loro mi hanno detto che ero aggressiva, arrogante, che qualche scappellotto da mio padre me lo sarei meritato, da piccola.
Potrei scrivere pagine intere sulla violenza delle parole che gli uomini rivolgono alle donne. Eccone una.