Pensieri

Ricordatemi come vi pare

25.05.2024
A un certo punto il profeta Elia va nel deserto perché cerca la voce dello Spirito. La trova negli eventi naturali, nel tuono, nel vento, dove ti aspetti che giunga in forma violenta, molto fragorosa, non eludibile. Ogni volta la Bibbia dice: ma la voce del Signore non era nel tuono, non era nel vento, non era nella pioggia, non era nei fenomeni naturali di rottura.
Riparatosi in una grotta, Elia sente un refolo, e nel refolo c’è la voce dello Spirito. Se non ti fermi a riflettere, il refolo non lo senti mai. Per molto tempo, nella mia vita, ho solo corso, ho corso per salvarmi, per dimostrare che ce la potevo fare, ho preteso da me stessa atteggiamenti eroici, iper-performativi, per ottenere di più, per essere sempre al di sopra di qualunque minaccia, non tanto di qualche aspettativa, perché su di me aspettative non ne aveva nessuno. Quando me ne sono andata di casa mio padre mi ha detto: «Farai la puttana oppure andrai a lavare le scale». Io sapevo che non era vero, ma non sapevo come lo avrei smentito.
Per tutta la vita ho pensato a lui a ogni traguardo raggiunto: ecco, vedi, non sono diventata quello che tu volevi diventassi, non mi hai visto fallire, né tornare indietro da te. Non è questione di essere brava. La questione è che per me l’arte, prima di essere mestiere, è passione. La mia stabilità economica non può dipendere da una pratica che mi muove dentro così tante cose. Non posso lavorare a tavolino con il mio sangue, la mia esperienza, la mia vita. Io scrivo solo di quello che conosco. Per scrivere devo attraversare la vita. Io devo avere un movente. Senza, non ha senso. E il movente non può essere l’affitto, mi avvilirebbe scrivere per incertezza economica. Scrivo perché il mondo certe cose le deve sapere. E dunque alzo la voce.
Ora che il mio tempo sta per finire ho capito quanta potenzialità ci fosse nei soffi, nei refoli e nei respiri piccoli. Persino nel silenzio. C’è stato molto silenzio attorno a me quando venivo insultata e vilipesa. Mi hanno lasciata sola. Attaccata da poteri fortissimi. Senza avere un sistema alle spalle. Il primo pensiero, insonne alle tre del mattino, è stato: “Dove sono tutti quanti mentre mi sta succedendo questo? Perché stanno zitti? Dove sono i miei colleghi?”. Walter Siti mi ha detto con grande onestà: «Io sono un vile. Vedo quello che accade a te, a Roberto Saviano. Ma taccio. Io ho paura dei modi in cui la morte può entrare nella vita. Non occorre una scorta. Può essere che tu venga mortificato dagli insulti di perfetti sconosciuti. Io non sono psichicamente strutturato per resistere a una pressione del genere». Siti è onesto, il suo silenzio politico non corrisponde al rumore, anche ruvido, della sua voce letteraria. Non era sempre necessario essere magnifica, eroica. Sarebbe bastato anche meno. A cinquantun anni mi sento come se avessi bruciato troppo. Troppo ossigeno. Troppo tempo. Troppa energia. Come fossi stata una candela con due stoppini. Mi chiedo se quello che mi sta succedendo non abbia a che fare col fatto che ho bruciato troppo. Se bruci tanto, fai tanta luce. Ma forse ne sarebbe bastata meno. Forse sarebbe bastato che non fossi io ogni volta quella che parlava per prima, quella che gridava più forte, che scriveva ciò che nessun’altra aveva il coraggio di scrivere, quella che si esponeva. La mia vita è stata peggiore perché io ho vissuto in prima linea troppo tempo. Forse non tutto era necessario. Ora non sento più il richiamo della contingenza. La polemica del giorno non mi interessa più. Dire quello che penso di Salvini o del figlio di La Russa non mi importa più. Perché quello che dovevo dire su questi temi, l’ho detto. Ora è come se la mia voce riverberasse una eco che continua a risuonare anche se io non sto più parlando.Perché ho generato un’identificazione tra quello che dicevo e quello che ero. Per cui sembra che parli e mi pronunci anche quando non lo faccio. Questa cosa l’ho pagata. Con tanti haters. Però mi ha ripagata. Se morissi domani (e il giorno della mia morte non è lontano) ci sono centinaia di persone che potrebbero alzarsi per dire: “Michela Murgia direbbe”. Perché anche se non potrò dirlo, comunque l’ho detto. Ci sono anche luoghi comuni, stereotipi, cliché – non è che ti inventi ogni volta chissà cosa. Però qualcosa di importante, in quella massa, rimane magico, e questo fa la differenza. Posso ora permettermi l’egemonia del silenzio perché ho parlato per anni, moltissimo.
Michela Murgia, da “Ricordatemi come vi pare – In memoria di me”, 2024

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