“Scrivendo certe cose, evocando certe immagini, certi simboli, invochi automaticamente le energie che ad essi sono legati. Bisogna stare attenti, essere selettivi, sapere che si sta giocando con il fuoco e che invocare certe energie può preludere a problemi ingestibili. Credo che in quasi tutte le culture l’icona dei grandi animali predatori abbia rappresentato l’energia che l’uomo non può contenere. È come se, scrivendo una poesia, costruissi un simbolo in grado di controllare questa energia. Evoco uno spirito e un cerchio magico che lo controlla”.
“Ogni elemento vivente è indifferente agli altri. Forse è consapevole, perfino profondamente, degli altri, ma deve restare impassibile, indifferente, perché deve predare le altre creature, divorarle, per continuare a vivere. Il regno animale, gli uccelli, i pesci, gli insetti, non conosce la morte. Forse la apprende nell’istante in cui inizia a morire, e si educa all’intero processo, ma è soltanto l’uomo l’essere che conosce la morte, che la sa in anticipo, che vive per la morte”.
“Fin da bambino ho vissuto in campagna: il mio unico interesse era occuparmi di pesci e uccelli. Poi sono passato ad altre cose e ho usato il mondo naturale in cui sono cresciuto come una metafora. Ma negli anni Settanta, a più di quarant’anni, ho percepito che mi mancava qualcosa, che mi mancava tutto. Così, sono tornato a scrivere poesie più semplici, per recuperare gli antichi anni della mia infanzia. In quel periodo, ho imparato a coltivare i campi. Volevo realizzare un libro sui fiumi con un amico fotografo, e poi uno sui fiori e gli insetti. Si tratta di testi marginali, magari, ma per me erano e sono necessari”.
Ted Hughes, da un dialogo pubblico con Amzed Hossein, tenuto il 18 novembre del 1989 a Dacca, in Bangladesh, nel contesto dell’Asia Poetry Festival