Linguaggi

Nika Turbinà

19.06.2024
“Luna crèmisi, luna crèmisi,
guardami attraverso la finestra buia.
La stanza è nera.
Gli angoli sono neri.
Nere sono le case.
E nera sono io stessa”.
Una vita breve e tormentata, quella di Nika GeorgievnaTurbinà (1974-2002), enfant prodige ucraina, che cominciò a “pensare” le sue poesie quando aveva appena 7 anni, ma, non essendo  ancora in grado di scrivere, le “dettava” alla madre e alla nonna, nelle lunghe notti rese insonni dai problemi respiratori di cui soffriva. 
“Sono pesi queste mie poesie
pietre spinte lungo una salita
Le porterò stremata allo strapiombo…”
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***
A a soli 10 anni,  viene pubblicata la sua prima raccolta, “Quaderno di Appunti“, con prefazione del poeta e romanziere Evgenij Evtušenko, che da questo momento comincia a prendersi cura della bambina  portandola anche a Venezia, dove Nika riceve il prestigioso “Leone d’oro” .  Le sue poesie, tradotte in 12 lingue,   fanno il giro del mondo, ma nello stesso tempo comincia  a circolare la voce che in realtà a scriverle  fosse la madre, Maja Nikanorkina. In effetti, è quanto sostiene Aleksandr Ratner nella sua  accurata biografia, “I segreti della vita di Nika Turbiná”, pubblicata nel 2018, in cui afferma, tra l’altro, che la famiglia sfruttava la fama e i guadagni di Nika, incidendo pesantemente sulla sua salute psichica.

“Non io scrivo le mie poesie?

Va bene, non le scrivo io.

Non io grido che non c’è una riga?

Non io.

Non io ho paura dei folti sogni?

Non io.

Non io mi getto nell’abisso delle parole?

Va bene, non io.

Voi vi svegliate al buio,

Senza forza per gridare.

E senza parole…

No, le parole ci sono!

Su, prendete un quaderno

E scrivete voi

Cosa avete visto nel sonno,

Cosa è diventato dolore e luce,

Scrivete di voi stessi.

Allora, amici, vi crederò:

I miei versi non li scrivo io.”

 

 

Alla mamma

 

“Mi manca

la tua tenerezza,

come a un uccello

che muore – l’aria.

Mi manca

l’inquieto tremito

delle tue labbra,

quando mi sento sola.

Mi manca il sorriso

nei tuoi occhi –

essi piangono,

guardandomi.

Perché in questo mondo

il dolore è così cupo?

Sarà, forse,

perché sei sola?”

***

 

***

 

Nel 1990, esce la sua seconda e ultima raccolta, “Gradini in su, gradini in giù”; ma Evtushenko non è più al suo fianco, a causa dei dissapori con la famiglia di Nika, ch, a quanto pare, tentava di estorcergli del denaro. Intanto la popolarità della ragazzina  è ormai in declino e  Nika, che si sente  abbandonata da tutti, comincia a bere, perde interesse per la scrittura e anche per la vita,.  I tentativi di suicidio si alternano con i ricoveri in cliniche prischiatriche, prima in Svizzera, poi a Jalta, la sua città natale.

 

 

“Perché io soffro? Perché vivo. Il mondo non è pieno di colore. Da qualche parte la gente viene uccisa, da qualche parte i bambini muoiono, e con le mie poesie voglio aiutare a rimuovere i blocchi che attualmente dividono il mondo”.

 

“Io sono una bambola rotta.
Hanno dimenticato di mettermi
un cuore nel petto.
E m’hanno lasciata al buio, in un angolo, inutile,
abbandonata.
E come una bambola rotta,
quando spunta il giorno
sento il soave sussurro del sogno:
“Dormi, mia cara, dormi a lungo.
Voleranno gli anni,
e quando ti sveglierai,
di nuovo vorranno
prenderti in braccio,
cullarti, giocare,
e batterà il tuo cuore…”
11 maggio 2002: Nika è in casa di Inna, una sua conoscente, insieme ad un amico comune; i tre hanno bevuto abbondantemente e Nika si addormenta.   Quando si sveglia si trova da sola, perché gli amici sono usciti a comprare della vodka. Nika li aspetta seduta sul balcone del quinto piano facendo penzolare le gambe fuori del davanzale, in quella che, a detta degli amici, era la sua posizione consueta. Poco dopo precipita nel vuoto….
***
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“Tutto quello che dovevo, l’ho detto da bambina nelle mie poesie. Non c’era bisogno che divenissi donna.”

“Non andrò col tram,

L’autunno copre le rotaie.

Resterò in casa

Alla finestra.

Raccoglierò sul palmo i suoni,

Come i portinai raccolgono al mattino

Le nebbie nei cesti,

Sollecitando il giorno.

Il vento farà roteare le foglie,

Non si poseranno sui gradini.

E sbatterà la finestra

Facendo tintinnare i vetri.

Non andrò col tram,

I suoni precedono l’autunno.

Resterò in casa

Accanto alla finestra rotta.”

 

“Per i viali del parco,

come pallina di cristallo,

la tua voce tintinnante

mi ha superato.

È passata sui tetti,

è passata sulle foglie.

Nel fruscio dell’autunno

ha colto la musica.

A un tratto s’è fermata

accanto a quella panchina

dove c’era

un lampione rotto.

La tua pallina di cristallo

ha riso lanciando scintille,

e il lampione rotto

si è illuminato.”

 

“Io sono l’erba assenzio,
amara sulle labbra,
amara sulle parole,
io sono l’erba assenzio.
E lamento sulla steppa.
Circondato dal vento
stelo sottile,
spezzato…
Nata dal dolore
lacrima amara.
A terra cadrà –
Io sono l’erba assenzio…”
“Tutte le lettere di questo appunto
preso in fretta che è la mia vita
sono stelle sparse.
Tutti i giorni scuri che mi aspettano
già fissati innanzi, ora.
Tutti i miei successi, i fallimenti
stanno lì, ciascuno un grido
che uno sparo sfiora.”

“Non bisogna

Chiedermi

Perché vivono le poesie malate.

Io capisco,

Sarebbe meglio

Avere una scorta di sane parole.

Ma non posso farci nulla,

Ai sogni non si può chiedere

Perché vengono.

Perché i boia notturni

Hanno sguainato le spade

E si avvicinano a me tutti insieme.

Perché gente cieca e sfinita

Si è affollata alla porta

Della mia memoria non infantile.

Il fuoco ha divorato decine di sorti,

Ma davvero è apparso

Chi prenderà su di sé

Tutto il male?”

 

 

“Vi ho ingannati,

Dicendo che un istante può essere l’eternità,

Che quando migrano gli uccelli

Finisce il caldo.

E che ho dimenticato da tempo

Gli scongiuri delle notti incantate,

Che la gioia è così vicina,

Basta sfiorarla per caso –

La tua mano

Solleva la sfera terrestre.

Io vi ho ingannati?

No, ho donato un segreto

Noto a me soltanto.”

 

 

Chi sono?

 

“Con gli occhi di chi io guardo questo mondo?

Degli amici? dei parenti? degli alberi? degli uccelli?

Con le labbra di chi io colgo la rugiada

Della foglia caduta sulla  strada?

Con le mani di chi io abbraccio il mondo

Così debole e fragile?

Io perdo la mia voce nelle voci

Dei boschi, dei campi, delle piogge,

Della bufera di neve, della notte…

Chi sono?

In cosa cercare me stessa?

Come rispondo a tutte le voci della natura?”

 

 

“Hanno preso nella rete il pesciolino d’oro:

Tutti i suoi doni hanno restituito.

Anche le parole

Che lui diceva sull’amore,

Le abbiamo restituite –

Amaro inizio…

Per quale ragione di nuovo

da una ripida sponda

Noi supplicando guardiamo

Aspettando una parola?”

 

“Le mie poesie somigliano a un gomitolo

Di fili colorati, arruffati da un bambino…

La mattina cerco di sgrovigliarli

In graziosi gomitoli separati,

Ma la sera – che assurdità! –

Il pavimento, le pareti, le strade, le case –

Tutto è confuso!

Le poesie somigliano

A una lunga coperta colorata,

No, alla strada dove

Dovrò rotolare il gomitolo della mia vita…

Che un bambino arruffi pure i fili –

Non si può seguire un solo dritto cammino!

E con un solo colore

Non si può riempire il mondo intero!

Che le parole siano un arcobaleno.”

 

Nika Georgievna Turbinà – Poesie tradotte da Paolo Statuti

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