“A Delfi si manifesta la vocazione dei Greci per la conoscenza: sapiente non è il ricco di esperienza, chi eccelle in abilità tecnica, in destrezza, in espedienti, come lo è invece per l’età omerica. Odisseo non è un sapiente.
Sapiente è chi getta luce nell’oscurità, chi scioglie i nodi, chi manifesta l’ignoto, chi precisa l’incerto. Per questa civiltà arcaica la conoscenza dell’uomo e del mondo appartiene alla sapienza.
Apollo simboleggia questo occhio penetrante, il suo culto è una celebrazione della sapienza. Ma il fatto che Delfi sia un’immagine unificante, un’abbreviazione della Grecia stessa, indica qualcosa di più, ossia che la conoscenza fu, per i Greci, il massimo valore della vita.
Altri popoli conobbero, esaltarono la divinazione, ma nessun popolo la innalzò a simbolo decisivo, per cui, nel grado più alto, la potenza si esprime in conoscenza, come ciò accadde presso i Greci. In tutto il territorio ellenico vi furono santuari destinati alla divinazione; questa rimase un elemento decisivo nella vita pubblica, politica dei Greci. E soprattutto l’aspetto teoretico connesso alla divinazione è caratteristico dei Greci. Divinazione implica conoscenza del futuro e manifestazione, comunicazione di tale conoscenza. Ciò avviene attraverso la parola del dio, attraverso l’oracolo. Nella parola si manifesta all’uomo la sapienza del dio, e la forma, l’ordine, il nesso in cui si presentano le parole rivela che non si tratta di parole umane, bensì di parole divine. Di qui il carattere esteriore dell’oracolo: l’ambiguità, l’oscurità, l’allusività ardua da decifrare, l’incertezza. Il dio dunque conosce l’avvenire, lo manifesta all’uomo, ma sembra non volere che l’uomo comprenda. C’è un elemento di malvagità, di crudeltà nell’immagine d’Apollo, che si riflette nella comunicazione della sapienza.”