“L’uomo di cui narro la storia è un pittore affermato che per sei anni ha diviso con me alcuni momenti della sua vita. Ora che il ricordo è lontano, ora che le immagini tumultuose delle sue pene fanno da sfondo a tante altre esperienze che costellano il mio lavoro, più netto si offre alla mia coscienza il percorso di una vita interiore e il divario fra l’esistere e l’essere. Forse ogni paziente, se si vuole affondare lo sguardo nel profondo del patimento nevrotico, si trova nella condizione di dover negare se stesso per poter vivere. Giovenale recitava questa condizione con il verso “Et, propter vitam, vivendi perdere causas”. La fama perseguitava quest’uomo ma, come stranamente accade, questo successo era completamente separato dalla sensazione che egli aveva di sé. Da molto tempo lo assillava il dubbio di mentire, di non essere cioè all’altezza della situazione. La gloria e l’affermazione artistica gli sembravano un’escrescenza estranea alla sua realtà interiore, e l’unico modo per far fronte a questo disagio fu l’inattività completa. Naturalmente avrebbe voluto continuare a dipingere, ma il blocco era stato totale: un addio triste alla creatività, un desiderio di morte, il confronto tragico e penoso con il proprio fallimento. Si tratta di una modalità abbastanza comune che può investire la persona, soprattutto in certi momenti fondamentali dell’esistenza. Forse si potrebbe definire anche paura, ma si tratta di uno speciale tipo di paura, senza contorni ben definiti, dotata di connotati quasi misteriosi, paralizzanti in parte e in parte propulsori. È una paura che ha a che fare con il mondo e con il nostro essere di fronte a esso. Ma il mondo è infinito e da esso non riceviamo alcuna risposta.”
***
“A tutti noi è capitato di vivere dei momenti in cui ci accorgiamo che gli altri non ci capiscono più. Ma questo, lungi dall’essere un fatto negativo, è un segno della nostra emancipazione, del nostro sviluppo psicologico. Infatti, se siamo sempre compresi, vuol dire che parliamo il linguaggio degli altri, un linguaggio collettivo. Ma se il nostro atteggiamento e le nostre idee sono originali, non possiamo più essere capiti, perché esprimiamo qualcosa di nuovo. Ecco allora che nasce un senso di estraneità reciproca, per cui la nostra ricerca di una strada individuale viene considerata almeno come una “stranezza”.
Aldo Carotenuto, da “Il labirinto verticale”, 1981
*****
In evidenza: Foto di Sonia Simbolo