Linguaggi

Spatriati…

20.07.2024
“Non esiste sogno che regga il confronto con la realtà, perché la Realtà stessa è a sua volta sogno dal quale una parte sola dell’Umanità si è risvegliata mentre alcuni di noi sono una Penisola estranea.”
Emily Dickinson, dalla lettera a A Susan Gilbert Dickinson, in “Emily Dickinson, Lettere 1845-1886”, 1982, a cura di Barbara Lanati
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Foto di Noell Oszvald
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Sei lontana dal tuo paese
“Sei lontana dal tuo paese, e io sono là
ogni giorno che passa la mia poesia
somiglia a lettere smarrite dalle poste:
Ti sei addormentata sul lungo sofà color banana,
lo chignon disfatto, gli occhiali sul punto di scivolarti dalle dita,
i resti di quattro o cinque mele nel piatto,
il pettine usato come segnalibro,
una copertina blu di Prussia sulle ginocchia,
forse sogni una scena teatrale con vecchie voci:
Sei in casa nostra, tua madre non è ancora impazzita,
mio fratello non è ancora stato coscritto
Zeki Müren canta alla radio
‘Adesso sei lontano’
tra un minuto interrompendo la canzone annunceranno
che le forze armate hanno preso il controllo
per la sicurezza e la salvezza nazionale,
fra un minuto dirai ‘devo andare via’
‘non posso venire, perché il turco…’
Avrai visto quest’opera mille volte,
ma quando sarai sul punto di svegliarti in un bagno di sudore
noterai un telegramma stropicciato sul grammofono:
…/non svegliarti../:vento/ stop
cadere foglia secca../’sul tuo seno
come mie notizie../ stop
Sei lontana dal tuo paese immerso nel caos
io sono vivo, per il momento, e
innamorato, dubbioso e immune alle separazioni.”
Gökçenur Ç (poeta, traduttore e ingegnere turco)
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Amore, tu non lo puoi sapere

“Amore, tu non lo puoi sapere
Tu non lo sai cosa vuol dire essere straniero
in un paese bello e affascinante come questo,
ti manca tutto, alla fine niente: solo un pezzo
sottile di carta che chiamano “permesso”.
Non hai provato a camminare come un’ombra
perché il tuo nome non esiste in nessun ufficio,
vedere i propri sogni infranti sotto i tuoi passi,
nessuno pronuncia il tuo nome, sei un anonimo.
Sognare ad occhi aperti d’incontrare i parenti,
poter tornare almeno una volta nella casa natale,
seguire con gli occhi in lacrime un aereo in cielo,
dormire poco: l’ansia e il desiderio non ti lasciano.
Tu non hai provato quando ti spinge il soldato
nel posto di blocco che le due frontiere divide
e poi se in un istante osi guardarlo negli occhi,
la rabbia e rancore si scateneranno come scintille.
No, tu non lo sai cosa vuol dire beffarsi di te
mentre la parola giusta cerchi di trovare invano,
come ti senti così piccola, inutile, un nonnulla
e da questo mondo vorresti sparire all’istante.
Amore, tu non lo puoi comprendere anche se
vicino al camino conversiamo giorno e notte.
Non puoi sapere cosa vuol dire essere straniero,
la sofferenza non ha voce, nemmeno il dolore.

Irma Kurti (poetessa, scrittrice, paroliera e traduttrice albanese)

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Renato Guttuso,  “Passeggiata in giardino a Velate”, 1983 

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Ci mancava un presente

“Andiamocene come siamo:
una signora libera
e un amico fedele.
Andiamocene su due strade diverse,
andiamocene come siamo, uniti
e separati.
Nulla ci fa male,
non il divorzio delle colombe,
né il freddo alle mani
o il vento intorno alla chiesa.
I mandorli non sono abbastanza in fiore,
sorridi e fioriranno di più
tra le farfalle delle tue fossette.
Presto avremo un altro presente.
Se ti volti, dietro di te
non vedrai che esilio:
la tua camera da letto,
il salice della piazza,
il fiume dietro gli edifici di vetro,
il caffè dei nostri appuntamenti… tutti, tutti
pronti a mutarsi in esilio.
E allora siamo buoni!
Andiamocene come siamo:
una donna libera
e un amico fedele ai suoi flauti.
Non bastava la nostra età per invecchiare insieme,
andare al cinema con passo stanco,
vedere l’epilogo della guerra tra Atene e le sue vicine
e assistere alle celebrazioni di pace tra Roma e Cartagine.
Presto gli uccelli lasceranno un tempo per un altro.
Che sia stato vano questo cammino
ammantato di senso? Ci ha condotti
in un viaggio effimero tra due miti?
Come se fosse necessario, come se fossimo necessari:
uno straniero che vede se stesso negli specchi della sua straniera.
«No, non è questa la strada verso il mio corpo».
«Nessuna soluzione culturale ai crucci esistenziali».
«Ovunque tu sia, il mio cielo è vero».
«Chi sono io per restituirti il sole e la luna precedenti?».
E allora siamo buoni…
Andiamocene come siamo:
un’amante libera
e il suo poeta.
La neve di dicembre non è caduta abbastanza,
sorridi e cadrà a fiocchi sulle preghiere del cristiano.
Presto torneremo al nostro domani dietro di noi,
quando eravamo due bambini all’inizio dell’amore
e giocavamo a Romeo e Giulietta
per imparare il lessico di Shakespeare…
Le farfalle si sono involate dal sonno
come il miraggio di una rapida pace,
che ci incorona con due stelle
e ci condanna a morte nel conflitto per il nome
tra due finestre.
E allora andiamocene,
siamo buoni.
Andiamocene come siamo:
una donna libera
e un amico fedele,
andiamocene come siamo.
Venuti con il vento da Babilonia,
a Babilonia torniamo…
Non bastava il viaggio
affinché, sulle mie tracce, i pini si tramutassero
in parole d’elogio del luogo meridionale.
Qui, siamo buoni. Del nord il nostro vento
e del sud le canzoni,
Sono un’altra te?
E tu, un altro me?
Non è questa la strada verso la terra della mia libertà,
la strada verso il mio corpo,
e io non sarò io per due volte
ora che il mio passato ha sostituito il mio futuro
e mi sono scissa in due donne.
Non sono orientale
né occidentale
e non sono un ulivo che ha ombreggiato due versetti.
E allora andiamocene.
«Nessuna soluzione collettiva alle ossessioni personali».
Non bastava essere insieme
per essere insieme…
Ci mancava un presente per vedere
dove eravamo. Andiamocene come siamo,
una donna libera
e un vecchio amico.
Andiamocene insieme su due strade diverse.
Andiamocene insieme
e siamo buoni…”

Mahmoud Darwish, “Ci mancava un presente”, da “Il Letto della straniera“

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Bansky

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Girovago
“In nessuna
parte
di terra
mi posso
accasare
A ogni
nuovo
clima
che incontro
mi trovo
languente
che
una volta
già gli ero stato
assuefatto
E me ne stacco sempre
straniero
Nascendo
tornato da epoche troppo
vissute
Godere un solo
minuto di vita
iniziale
Cerco un paese
innocente”
Giuseppe Ungaretti, da “Allegria di naufragi”, 1919 (successivamente inserita nella raccolta “L’allegria”, del 1931)
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 Attori girovaghi “Scavalcamontagne”
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Minoranza
“Sono nata straniera.
E ho continuato da allora
a diventare straniera ovunque
andassi, anche nel posto
dove i miei parenti stanno come piante,
tuberi di sei piedi che mettono radici,
dita e volti che spingono verso l’alto
nuovi germogli di mais e di canna da zucchero.
Luoghi di ogni tipo e gruppi
di persone con una storia gloriosa
alle spalle, quasi certamente,
prenderebbero le distanze da me.
Sono stonata,
come una poesia mal tradotta;
come un cibo cotto nel latte di cocco
dove ti saresti aspettato il ghee o la panna,
il retrogusto imprevisto
del cardamomo o del neem.
C’è sempre quel punto dove
la lingua inciampa
su un sapore sconosciuto;
dove le parole ruzzolano
su un abile sgambetto della lingua;
dove i contorni sfuggono,
la ricezione di un’immagine
non del tutto intonata, dai bordi sfocati,
che denuncia la straniera
in mezzo a loro.
E così io gratto, gratto
tutta la notte questa
crosta che cresce sul nero sul bianco.
Chiunque ha il diritto
di infiltrarsi in un foglio di carta.
La pagina non oppone resistenza.
E forse questi versi – chi sa,
riusciranno a furia di grattare
a penetrarti in testa – –
in mezzo a tutte le chiacchiere del quartiere,
la famiglia, il rumore dei cucchiai,
i bambini che vengono allattati –
a migrare nel tuo letto,
a occupare la tua casa,
e in un angolo, a mangiare il tuo pane,
finché un giorno non incontri
la straniera che cammina furtiva per la tua strada
penserai di riconoscerne il volto
scarnificato all’osso,
guarderai nei suoi occhi di esclusa
e riconoscerai in quel volto il tuo.”
Imtiaz Dharker (poetessa, pittrice e film-maker pakistana)
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Ormai

“Ormai la primula e il calore
Ai piedi e il verde acume del mondo

I tappeti scoperti
Le logge vibrate dal vento e il sole
Tranquillo baco di spinosi boschi;
il mio male lontano, la sete distinta
come un’altra vita nel petto

Qui non resta  che cingersi intorno il paesaggio
Qui volgere le spalle.”

 

Andrea Zanzotto, “Ormai”, da “Dietro il paesaggio”, 1951

 

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Foto di Nézir Muhadri

 

 

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Qui non posso udire la voce del cuculo
“Qui non posso udire la voce del cuculo.
Qui l’albero non indosserà una mantella di neve,
ma qui all’ombra di questi pini
tutta la mia infanzia risorge alla vita.
Lo scampanio degli aghi tanto tempo fa –chiamano patria lo spazio della neve,
e il ghiaccio verdastro che incatena il fiume
lingua della poesia in una terra straniera.
Forse solo gli uccelli migratori conoscono
quando sono sospesi tra la terra e il cielo
questo dolore di avere due patrie.
Con voi sono stata piantata due volte,
con voi, pini, sono cresciuta,
le mie radici in due diverse terre.
Il viaggio più breve è quello lungo gli anni.
La luce non è ancora passata.
La casa crollò. Il muro si mosse.
Ed ecco stanno l’uno accanto agli altri come vicini
le mie notti di oggi, i miei giorni di allora.
Che cosa si dissero? Siamo cambiati? Siamo invecchiati?
Il viaggio più breve è quello dentro il passato.
Ti ricordi? Un mare freddo, due navi che si abbracciavano
bambini in cima a una collina sollevavano torce –Siamo invecchiati? Siamo cambiati?
Credimi: fino a domani ho ancora ore assai lunghe.”
Leah Goldberg (poetessa e scrittrice di ebrea), da “Lampo all’alba”, 2022 – Traduzione di Paola Messori
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Nell’immagine: Roman Zakrzewski, artista polacco

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