Pensieri

La Poesia, “scuola di resistenza”

24.07.2024
La Poesia è “scuola di resistenza” a tale insopprimibile istanza nel logos occidentale, ma non è una scuola di resistenza, per così dire, sentimental-patetica; niente affatto, la poesia è una scuola di resistenza che rammemora instancabilmente l’altra dimensione, la più originaria, del linguaggio.
Se essa cadesse nell’oblio, dimenticheremmo quella che è l’essenza stessa del linguaggio.
La Poesia apre a questa comprensione, la “conosce”. Ed è perciò vero “sapere”. E qui sta la sua assoluta necessità; nell’impedire di tempo in tempo, con mezzi diversi, in forme diverse, che il linguaggio si esaurisca, si sintetizzi nell’univocità del significare univoco. Ripeto, questa necessità si esprime in forme e modalità diverse, ma essa non dovrà mai venire meno.
Questo è il solo modo per rispondere anche alla domanda di Hörderlin, infinite volte ripetuta da Adorno a Heidegger, e che è propriamente la stessa domanda fondamentale platonica:
“Perché la Poesia nel tempo della miseria?”
Si potrebbe dire in termini diversi: “Perché la poesia di fronte alle tragedie, alle sofferenze; perché la poesia di fronte ai grandi drammi politici?”
Nella sua essenza la domanda di Adorno, “come è possibile la poesia dopo Aushwitz?” non esprime, in modo storicamente determinato, che quella “originaria”: “Perché la Poesia di fronte alla serietà tragica della vita?”.
Proprio per questo, proprio perché voglio affrontare la serietà tragica della vita, non posso sclerotizzare, fossilizzare il linguaggio, debbo saperlo mantenere aperto, fino a destinarlo “quasi” al silenzio.
Allora “salverò” anche la sofferenza.
Perché la sofferenza alla fine è proprio ciò che non possiamo “de-finire”, non possiamo univocamente significare. La sofferenza deve restare ferita aperta. Soltanto così potrà essere ricordata. Ricordo, infatti, soltanto ciò che rimane aperto.
Allora, proprio così si risponde alla domanda platonica, alla domanda adorniana, alla domanda di Hörderlin, alla domanda di tutti i grandi poeti.
Essi, ripeto, hanno tutti iscritto nelle loro Poesie, e nella nostra cultura, il loro controcanto a Platone. Sistole e diastole della nostra civiltà.
Massimo Cacciari, dalla Lectio Magistralis tenuta nella Sala della Cariatidi, a Milano il 14-2-2008, pubblicata sulla rivista “Poesia” n. 225/2008

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