Pensieri

I bambini e le fiabe

18.08.2024
“C’era una volta uno spaccalegna e una spaccalegna, che avevano sette bimbi, tutti maschietti. Il maggiore avea solo dieci anni e il più piccolo sette. Come mai, direte, tanti figli in così poco tempo? Gli è che la moglie andava di buon passo e non ne faceva meno di due alla volta.
Era poverissima, e i sette bimbi gl’incomodavano assai, visto che nessuno di essi era in grado di buscarsi da vivere. Per giunta di cordoglio, il più piccino era molto delicato e non apriva mai bocca, sicchè si scambiava per grulleria quello che era un segno di bontà di cuore. Era piccolissimo, e quando venne al mondo non era mica più grosso del pollice, ed è però che lo chiamarono Pollicino.
Questo povero bimbo era il bersaglio della casa, e sempre a lui si dava il torto. Era però il più assennato e fine di tutti i fratelli, e se poco parlava, ascoltava molto.
Venne una gran brutta annata, e tanta fu la carestia, che quella povera gente decise di sbarazzarsi dei piccini. Una sera che questi erano a letto, lo spaccalegna disse tutto afflitto alla moglie, seduta con lui davanti al fuoco: – Tu vedi che non possiamo più dar da mangiare ai piccini; vedermeli morir di fame sotto gli occhi non mi dà l’animo, e ho deciso di menarli domani al bosco perchè vi si sperdano. La cosa sarà facile; quando li vedremo occupati a far fascinotti, tu ed io ce la svigneremo.
– Ah! esclamò la moglie, e avrai proprio cuore di far smarrir i figli tuoi?
Aveva un bel parlare di miseria il marito, la poveretta non si faceva capace; era povera sì, ma era la loro mamma.
Se non che, considerando quanto avrebbe sofferto a vederli morir di fame, finì per acconsentire e se ne andò a letto, piangendo.”
(Charles Perrault, da “Pollicino”)
“I bambini conoscono la sensazione di paura, solitudine, isolamento e ansia. Il più delle volte non riescono ad esprimerla a parole ma lo possono fare indirettamente, con la paura del buio, o di qualche strano animale.
Spesso si tende a minimizzare queste paure nel tentativo di non alimentarle, mentre nelle fiabe queste emozioni negative sono prese davvero sul serio: la paura di non essere amati, o la paura dell’abbandono, o della morte; e le fiabe offrono soluzioni per superarle in modo che il bambino le possa recepire ed elaborare.
Alcune fiabe scrivono nel finale “se non sono ancora morti, sono ancora vivi“, e rispondono così al desiderio insito nell’essere umano, e anche del bambino, di vita eterna.
Per esempio la frase finale “E vissero felice e contenti” non vuole far credere al bambino che esista la vita eterna, assolvendo ad un irrealistico appagamento di un desiderio – e il bambino non lo crederebbe affatto – ma gli fa capire che la formazione di un legame soddisfacente con un’altra persona è l’unica cosa che può farci sopportare gli angusti limiti del nostro tempo su questa nostra terra.
Bruno Bettelheim, da “Il mondo incantato. Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe”, 1975
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In evidenza: Foto di Sonia Simbolo

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