Epistolario

Lettera di Rainer Maria Rilke a Lou Andreas-Salomè

18.08.2024
Oberneuland bei Bremen, 8 agosto 1903
“E io credo, Lou, che così deve essere: questa è una vita e l’altra è una vita diversa e non siamo fatti per avere due vite; sempre, quando ho desiderato una realtà, una casa, persone che visibilmente mi appartenessero, il quotidiano, come mi sbagliavo. Da quando li posseggo, mi abbandonano, uno dopo l’altro. Che cosa è stata per me la mia casa, se non un’estranea per la quale dovevo lavorare, e che cosa sono le persone vicine, se non visitatori che non sanno congedarsi? Come mi perdo ogni volta che voglio essere qualcosa per loro; come mi allontano da me stesso e non riesco ad arrivare fino a loro, e mi trovo a metà strada tra loro e me, quasi fossi in viaggio, sì che non so più dove sono e quanto di mio sia con me e raggiungibile. Per chi posso essere qualcosa, dal momento che non ho alcuna vocazione per gli uomini e nessun diritto su di loro? Come dovrebbe vivere colui che potesse chiamare suo figlio veramente suo; che cosa dovrebbe fare se non guadagnarlo a sé giorno e notte? Ogni rapporto pone dei compiti, ogni relazione impone esigenze e leggi, in cui si può dirigere la felicità e la grandezza della vita per crescere in esse fino a diventare se stessi. Alcuni lo possono. Altri, invece, sono radicalmente solitari e non è dato loro essere socievoli; ogni relazione significa per loro un pericolo e una inimicizia; la casa che costruiscono poggia su di loro, perché non hanno patria che la regga, e con le persone care che sono vicine subentra una vicinanza eccessiva che esclude la vastità. Oh Lou, in una poesia che mi riesce c’è molta più realtà che in ogni relazione o affetto che provo; dove creo, io sono vero e vorrei trovare la forza di fondare la mia vita interamente su questa verità, su questa infinita semplicità e gioia che talvolta mi sono concesse. Questo cercavo già quando andai da Rodin; perché, presago, sapevo da anni dell’infinito esempio e modello della sua opera. Ora che vengo da lui so che anch’io non potrei volere e cercare altre realizzazioni se non quelle della mia opera; là è la mia casa, là sono le figure a me veramente vicine, là sono le donne di cui ho bisogno, là i figli, che cresceranno e vivranno a lungo. Ma come cominciare a percorrere questo cammino — dov’è nella mia arte il mestiere, il suo punto più profondo e più umile dal quale mi sia concesso iniziare a operare? Voglio percorrere a ritroso ogni cammino fino a quell’inizio, e tutto ciò che ho fatto non sarà stato nulla, meno ancora dello spazzare una soglia su cui il prossimo ospite lascerà di nuovo l’orma della via. Ho in me pazienza per secoli e voglio vivere come se il mio tempo fosse lunghissimo. Voglio concentrarmi al riparo da tutte le distrazioni, voglio recuperare quanto di mio ho troppo rapidamente prodigato e risparmiare. Ma sento voci benintenzionate, e passi che si avvicinano e porte che sbattono… E se cerco gli altri, non mi danno aiuto e non sanno quello che penso. E riguardo ai libri, lo sono altrettanto (disarmato) e neppure questi mi aiutano come se essi pure fossero ancora troppo umani … Solo le cose mi parlano. Le cose di Rodin, le cose delle cattedrali gotiche, le cose dell’antichità, — tutte le cose che sono cose compiute. Mi rimandano ai modelli; al mondo animato degli esseri viventi, semplice e visto senza interpretazione, pretesto delle cose. Comincio a vedere in modo nuovo: già i fiori rappresentano spesso per me infinitamente tanto e dagli animali mi sono sempre giunti stimoli singolari. E anche gli uomini talvolta vivo cosi: mani che si muovono, bocche che parlano, e vedo tutto con maggiore calma e una più grande equità.
Ma pur sempre mi mancano ancora la disciplina, la capacità e la volontà di lavorare che bramo da anni. Mi manca la forza? La mia volontà è malata? È il sogno che è in me ostacola tutto l’agire?
I giorni passano e talvolta sento la vita passare. E ancora non è accaduto nulla, ancora non c’è nulla di reale attorno a me; e io continuo a dividermi e scorro divaricando, ‒ e desidererei scorrere in un letto e diventare ampio. Perché, Lou, non è forse vero che così deve essere; dobbiamo essere come un fiume e non dividerci in canali per portare acqua ai pascoli. Non è forse vero che dobbiamo tenerci uniti e mormorare? Forse potremo, quando saremo molto vecchi, una volta, proprio alla fine, cedere, ampliarci e sfociare in un delta … cara Lou!
Lou von Salomé e Rainer Maria Rilke, in “Da qualche parte nel profondo. Lettere 1897-1926” – A cura di Sabrina Mori Carmignani

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