Anche lui aveva urlato di gioia quando sua figlia era nata, in una mattina di metà marzo, quattro anni dopo il secondogenito: Selma Quaranta era uscita con pochi pianti, tanto che le signore attorno al letto di Rosa avevano domandato se fosse muta. Ma Selma non era muta, era solo una che nasceva in una casa piena di maschi e che non sapeva ancora se e quando poteva fiatare. Sua madre aveva dato a intendere subito a tutti che quella bambina era cosa sua e che nessuno avrebbe dovuto allattarla a parte lei. Aveva cacciato via tutto il codazzo di femmine che si era trovata attorno, chiedendo di rimanere sola con sua figlia. Anche se c’era l’Osteria da mandare avanti e altri due figli ancora piccoli, Rosa era rimasta una settimana a letto insieme a Selma: quando non ce l’aveva attaccata al seno, se la poggiava a fianco e parlava fitto. Alla fine, pregata e scongiurata da Bastiano, si era decisa a portare la bambina fuori dalla stanza per mostrarla a tutto il paese giù all’Osteria: ma bastava che qualcuno chiedesse di prenderla in braccio o facesse a Selma un complimento in più, perché Rosa se la tirasse gelosa al petto.
“Basta adesso, che me la consumate.”
E forse scherzava o forse no.
Aurora Tamigio, da “Il cognome delle donne”, 2023
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In evidenza: Pablo Picasso, “Madre con bambino”, 1902