Magazzino Memoria

Narges Mohammad

07.02.2025
Avevo sentito dire che la cella di Hoda Saber veniva illuminata senza sosta da grandi proiettori ad alta potenza. Avevo inoltre sentito dire che le celle erano fatte in modo che ci stesse dentro una persona con le braccia tese, non di più. Che in prigione regnava un silenzio assoluto, e che la porta veniva aperta tre o quattro volte al giorno per permettere ai prigionieri di lavarsi le mani prima della preghiera. Ma anche che i detenuti in isolamento erano sottoposti a tortura bianca e lavaggio del cervello. Ora stavo sperimentando di persona ciò che avevo sentito e letto […].
I giorni e le notti si confondevano, era come se il tempo si fosse fermato. Non avevo un orologio. Potevo indovinare che ora fosse grazie alle preghiere, che venivano trasmesse tre volte al giorno. La cella era larga tre passi e camminare di continuo avanti e indietro mi dava quasi le vertigini, ma non potevo fare altro. Quando rimanevo seduta per molto tempo, mi sembrava che le pareti si chiudessero sopra di me. La sera, prima di dormire, cominciavo a cantare mettendo in pratica ciò che avevo imparato studiando canto. Puntualmente la guardia apriva la porta ordinandomi di fare silenzio, così dovevo limitarmi a un sussurro.
Narges Mohammad, da “White Torture Interviews with Iranian Women Prisoners”,  Traduzione di Manuela Faimali
(Nel maggio del 2016 le autorità iraniane condannarono Narges a 16 anni di reclusione per il suo impegno politico a difesa dei diritti umani e contro la pena di morte. Rilasciata nel 2020 e nuovamente incarcerata pochi mesi dopo, il 6 ottobre del 2023 viene insignita del Premio Nobel per la pace “per la sua battaglia contro l’oppressione delle donne in Iran e per promuovere diritti umani e libertà per tutti”.)

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