Una sera, dopo aver fatto i compiti, lessi un libro in cui un Bandolero camminava lungo una strada di betulle. Io non sapevo cos’erano le betulle ma immaginavo fossero delle piante. Smisi di leggere perché avevo molto sonno, ma m’incamminavo verso il letto con la parola betulle tra le labbra. Dopo essermi coricato, mi misi a pensare a come avevano fatto a dare i nomi alle cose. Non sapevo se le avevano cercato dei nomi per riuscire poi a ricordarsi di loro quando non erano presenti, o se avevano dovuto indovinare i nomi che avrebbero tenuto ancor prima di conoscerle. Poteva anche essere accaduto che gli uomini di un tempo avevano già pensato a dei nomi e dopo li avrebbero distribuiti tra le cose. Se fosse stato così, io avrei dato il nome di betulle alle carezze fatte su di un braccio bianco: “be” sarebbe la parte morbida del braccio bianco e “tulle” sarebbero le dita che lo accarezzavano. Allora accesi la luce, tirai fuori dalla cartella il quaderno e la matita e scrissi: “Io voglio fare betulle alla mia maestra.” Dopodiché presi la gomma, cancellai e spensi la luce.
Felisberto Hernàndez, “Le betulle”, da “Tierras de la Memoria”, 2015
*****
In evidenza: Alois Kalvoda, “Betulle”, 1904