“Siedi con gli amici, non riaddomentarti,
Non affondare come un pesce sul fondo del mare.
Sorgi come un oceano,
non disperderti come una tempesta.
le acque della vita sgorgano dall’oscurità.
Fruga l’oscurità, non rifuggirla.
I viaggiatori della notte sono pieni di luce,
e così anche tu; non lasciare questa compagnia.
Sii una candela insonne su un vassoio d’oro,
non scivolare nel lordume come il mercurio.
La luna appare per i viaggiatori della notte:
stai all’erta quando la luna è piena”
Maulana Jalal ad-Din Rumi
*****
Sultàn’ul-Ulamà (“Signore dei sapienti”),“Jalāl Ad-Din”, “Moulana“, considerato dall’islamista Alessandro Bausani “il più grande poeta mistico di tutti i tempi ”, nasce a Balkh (Afghanistàn) il 30 settembre 1207. Il suo destino gli verrà profetizzato sulla strada della Mecca, quando il grande mistico persiano Farīd al-Dīn ʿAṭṭār incontrando lui e suo padre in fuga da Konya, dirà a quest’ultimo: “Tuo figlio sarà presto divampante fuoco in tutti i mondi degli amanti di Dio“. Il punto di svolta della sua vita è però rappresentato dall’incontro con il derviscio Shams-i Tabriz (il Sole di Tabriz), un misterioso personaggio la cui figura sfuma nella leggenda. “Un giorno Moulànà Jalàl’ud Din era seduto in casa, circondato da discepoli e da libri. Shams entrò d’improvviso, lo salutò e, indicando i libri, chiese: “Che cos’è questa roba?” Moulànà Jalàl’ud Din rispose: “Tu non ne sai nulla!” Ma non appena ebbe pronunciato queste parole i libri presero fuoco e bruciarono. Alla domanda impressionata di Jalàl’ud Din: “Ma che è mai questo? Shams rispose: “Tu non ne sai nulla“. A partire dall’incontro con quello che avrebbe chiamato “Vero Amico”, Rumi abbandona tutto, dedicando l’intera sua vita al sufismo, alla ricerca mistica e ai versi ai quali affida i segreti dell’amore di Dio.
Simone: “Dimmi che sono te” ricorda un pochino “Il canto di me stesso”, di Walt Whitman:
Il canto di me stesso
“Canto me stesso, e celebro me stesso,
E ciò che assumo voi dovete assumere
Perché ogni atomo che mi appartiene appartiene
anche a voi.
Io ozio, ed esorto la mia anima,
Mi chino e indugio ad osservare un filo d’erba estivo.
La mia lingua, ogni atomo di sangue, fatti da questo
suolo, da quest’aria,
Nato qui da genitori nati qui e così i loro padri e così i
padri dei padri,
lo, ora, trentasettenne in perfetta salute, ora
incomincio,
E spero di non cessare che alla morte.
Credi e scuole in sospeso,
Un po’ discosto, sazio di ciò che sono, ma mai
dimenticandoli,
Accolgo la natura nel bene e nel male, lascio che parli
a caso,
Senza controllo, con l’energia originale.
Case e stanze sono piene di profumi, gli scaffali
affollati di profumi,
Respiro la fragranza, la riconosco e mi piace,
Il distillato potrebbe ubriacare anche me, ma non lo
permetto.
L’atmosfera non è un profumo, non ha il gusto del
distillato, è inodore,
È fatta per la mia bocca, in eterno, ne sono
innamorato,
Andrò sul pendio presso il bosco, sarò senza maschera
Il mio inspirare ed espirare, il pulsare del cuore, il
transitare dell’aria e del sangue attraverso
i polmoni,
Il sentore delle foglie verdi e delle foglie secche, della
spiaggia e degli scogli neri, del fieno nel fienile,
Il suono delle parole eruttate della mia voce
abbandonata ai vortici del vento,
Pochi rapidi baci, pochi abbracci, un tendere a cerchio
di braccia,
Il gioco delle ombre e dei riflessi all’oscillare dei rami
flessuosi,
Il godimento da soli o tra la folla nelle strade, o lungo
i campi o sui fianchi d’una collina,
La sensazione di salute, il vibrare del pieno
mezzogiorno, il canto di me che mi alzo dal letto
e vado incontro al sole.
Hai creduto che mille acri fossero molti? che tutta la
terra fosse molto?
Ti sei esercitato così a lungo per imparare a leggere?
Tanto orgoglio hai sentito perché afferravi il senso dei
poemi?
Fermati con me oggi e questa notte, e ti impadronirai
dell’origine di tutti i poemi,
Ti impadronirai dei beni della terra e del sole (ci sono
ancora milioni di soli),
Non prenderai più le cose di seconda o terza mano, né
guarderai con gli occhi dei morti, ne ti nutrirai di
fantasmi libreschi,
E neppure vedrai attraverso i miei occhi o prenderai
le cose da me,
Ascolterai da ogni parte e le filtrerai da te stesso.
Ho udito ciò che i parlatori dicevano, il discorso del
principio e della fine,
Ma io non parlo del principio o della fine.
Non ci fu mai più inizio di quanto ce n’è ora,
Ne più gioventù o vecchiaia di quanta ce n’è ora,
Ne vi sarà più perfezione di quanta ce n’è ora,
Ne più cielo o più inferno di quanto ce n’è ora.
Urgere, urgere, urgere,
Sempre l’urgere procreante del mondo.
Dalla confusa oscurità gli opposti eguali avanzano,
sempre sostanza e accrescimento, e sesso,
E intrecciarsi di identità, e sempre distinzione, sempre
riproduzione.
Elaborare è inutile, dotti e non dotti sentono che è
così.
Sicuri come ciò che è più sicuro, i muri a piombo, ben
connessi, la travatura rinforzata,
Forti come un cavallo, affezionati, tracotanti, elettrici,
Io e questo mistero qui ci ergiamo.
Limpida e dolce è la mia anima, e limpido e dolce è
tutto quello che non è la mia anima.
Se manca uno, mancano entrambi, e il non veduto è
provato dal veduto,
Finché questo non diventi invisibile e debba a sua
volta esser provato.
Ogni età tormenta l’altra mostrando il meglio e
separandolo dal peggio,
Conoscendo la perfetta giustezza e imparzialità delle
cose, mentre quelle discutono sto zitto, e vado a
fare il bagno e ad ammirare me stesso.
Benvenuto ogni mio organo e attributo, e quelli di
ogni uomo onesto e vigoroso,
Non un pollice è da scartare o frazione di pollice, e
niente dev’essere meno familiare del resto.
lo sono pago: vedo, ballo, rido e canto;
E se l’amato compagno di letto che dorme abbracciato
al mio fianco, allo spuntare del giorno si ritira
con passo furtivo,
Lasciandomi cesti di bianchi asciugamani che mi
riempiono la casa con la loro abbondanza,
Dovrò posporre la mia accettazione e comprensione e
gridare ai miei occhi
Che si astengano dopo dal guardare giù per la strada,
E mi mostrino sùbito, calcolato al centesimo,
L ‘esatto valore di uno e l’esatto valore di due, e chi è
in vantaggio?
La gente che passa e che m’interroga,
Le persone che incontro, gli effetti su di me dei miei
primi anni o del quartiere, della città, della
nazione in cui vivo,
Gli avvenimenti recenti, le scoperte c invenzioni, le
società, gli autori vecchi e nuovi,
Il pranzo, gli abiti, i compagni, il bell’aspetto, i
complimenti, i doveri,
L’indifferenza reale o immaginaria di qualcuno che
amo,
La malattia d’uno dei miei o mia, le malefatte, la
perdita o la penuria di danaro, le depressioni o
l’euforia,
Le battaglie, gli orrori della guerra fratricida., la
febbre delle dubbie notizie, lo spasmo degli
avvenimenti,
Tutto questo mi arriva giorno e notte, e se ne va,
Ma non sono il mio Io.
Separato da ciò che attira e trascina sta quello che io
sono,
Se ne sta divertito, compiacente, compassionevole,
inattivo, unitario,
Guarda dall’alto, è eretto, o appoggia un braccio a un
impalpabile sicuro sostegno,
Con la testa piegata di Iato, curioso di ciò che verrà
dopo,
Dentro e fuori del gioco, osservandolo e
meravigliandosi.
Ripenso ai giorni passati quando mi affaticavo nella
nebbia con linguisti e dialettici,
Non ho battute o argomenti, io testimonio e attendo.
Io credo in te anima mia, e l’altro che io sono non
deve umiliarsi
Davanti a te ne tu davanti a lui.
Ozia con me sopra l’erba, rimuovi il groppo dalla
gola,
Io non chiedo parole, né musica, né rime, né
conferenze o patrocini, sia pure i migliori,
Solo la nenia mi appaga, il mormorio della tua voce a
bocca chiusa.
Rammento come una volta in un simile limpido
mattino d’estate noi due giacevamo,
E tu posavi il capo di traverso sui miei fianchi e ti
volgevi a me con tenerezza,
E aperta la camicia sullo sterno, affondasti la lingua
dentro al mio cuore nudo,
E ti stendesti fino a sentire la mia barba, e ti stendesti
fino a trattenermi i piedi.
Rapidamente sorse e si diffuse intorno a me quella
pace e quella conoscenza che oltrepassano ogni
disputa terrestre,
E ora so che la mano di Dio è la promessa della mia,
So che lo spirito di Dio è il fratello del mio spirito,
Che tutti gli uomini nati sono anche fratelli miei, e le
donne sorelle ed amanti,
E che la controd1iglia della creazione è l’amore,
E che sono infinite le foglie dritte o recline nei campi,
E le brune formiche nei piccoli pozzi sotto di loro,
E le croste di muschio del recinto serpeggiante, i
mucchi di sassi, il sambuco, la fitolacca, il
verbasco.
Che cos’è l’erba? mi chiese un bambino,
portandomene a piene mani;
Come potevo rispondergli? Non so meglio di lui che
cosa sia.
Suppongo che sia lo stendardo della mia vocazione,
fatto col verde tessuto della speranza.
O forse è il fazzoletto del Signore,
Un ricordo profumato lasciato cadere di proposito,
Con la cifra del proprietario in un angolo sicché
possiamo vederla e domandarci di Chi può essere?
O forse l’erba stessa è un bambino, il bimbo generato
dalla vegetazione.
O un geroglifico uniforme
Che voglia dire, crescendo tanto in ampi spazi che in
strette fasce di terra,
Fra bianchi e gente di colore,
Canachi, Virginiani, Membri del Congresso, gente
comune, io do loro la stessa cosa e li accolgo
nello stesso modo.
E ora mi appare come la bella capigliatura delle
tombe.
Ti userò con gentilezza, erba ricciuta,
Forse traspiri dal petto di giovani uomini,
Che avrei potuto amare, se li avessi conosciuti,
Forse provieni da vecchi, o da figli ghermiti appena
fuori dai ventri materni,
Ed ecco, sei tu il ventre materno.
Quest’erba è troppo scura per uscire dal bianco capo
delle nonne,
Più scura della barba scolorita dei vecchi,
È scura per spuntare dal roseo palato delle bocche.
Oh nonostante tutto io sento il parlottio di tante
lingue,
E comprendo che non esce dalle bocche per nulla.
Vorrei poter tradurre gli accenni ai giovani morti, alle
fanciulle,
Gli accenni ai vecchi e alle madri, ai rampolli ghermiti
ai loro ventri.
Che cosa pensate sia avvenuto dei giovani e dei
vecchi?
E che cosa pensate sia avvenuto delle madri e dei
figli?
Vivono e stanno bene in qualche luogo,
Il più minuscolo germoglio ci dimostra che in realtà
non vi è morte,
E che se mai c’è stata conduceva alla vita, e non
aspetta il termine per arrestarla,
E che cessò nell’istante in cui la vita apparve.
Tutto continua e tutto si estende, niente si annienta,
E il morire è diverso da ciò che tutti suppongono, e
ben più fortunato.
Walt Whitman, “Il canto di me stesso”
Simone: In questo brano Sadreddin Özçimi suona il ney, un antichissimo flauto, le cui origini si perdono nella notte dei tempi, strettamente legato alla cultura sufi.
“Nella generosità e nell’aiuto degli altri sii come un fiume.
Nella compassione e nella grazia sii come il sole.
Nel nascondere le mancanze altrui sii come la notte.
Nell’ira e nella furia sii come la morte.
Nella modestia e nell’umiltà sii come la terra.
Nella tolleranza sii come il mare.
Esisti come sei oppure sii come appari.”
Maulana Jalal ad-Din Rumi
Mimmo:Sono a Konya, la città di Rumi, la “danza dei dervisci roteanti” è uno spettacolo di grande concentrazione e contemplazione.
Simone:La danza rituale, o Sema, che viene eseguita con l’accompagnamento di determinati strumenti musicali è nata in realtà come una tecnica sufi suggerita da Rumi, che, avendo visto dei bambini, al mercato, girare, cadere e ridere molto, decise che avrebbe pregato così. Il simbolismo esoterico della danza è venuto solo successivamente, ad opera di Sultan Walad, il figlio di Rumi.
“L’Uomo di Dio è, senza vino, ubriaco,
l’Uomo di Dio è, senza cibo, già sazio.
L’Uomo di Dio è pazzo e stupito,
l’Uomo di Dio non mangia e non dorme.
L’Uomo di Dio è re sotto il saio,
l’Uomo di Dio è, in diroccate rovine, tesoro.
L’Uomo di Dio non è d’aria e di terra,
l’Uomo di Dio non è d’acqua e di fuoco.
L’Uomo di Dio è mare senza sponde,
l’Uomo di Dio piove perle senza bisogno di nube.
L’Uomo di Dio ha cento lune e cieli,
l’Uomo di Dio ha pur cento soli.
L’Uomo di Dio è per Realtà sapiente,
l’Uomo di Dio non ha dottrina di libro.
L’Uomo di Dio è oltre fede e non-fede
l’Uomo di Dio è oltre il male e il bene.
L’Uomo di Dio è cavaliere venuto dal Nulla,
l’Uomo di Dio è venuto su glorioso destriero.
L’Uomo di Dio è Shams ad-Din nascosto,
l’Uomo di Dio tu cerca e tu trova!”
Maulana Jalal ad-Din Rumi
“Ogni immagine divora un’altra immagine,
ogni pensiero nutre un altro pensiero.
Tu non puoi liberarti di una fantasia,
né puoi dormire per uscire da essa;
il pensiero è un’ape ed il tuo sonno acqua,
non appena ti sveglierai torneranno le mosche.
Vari sciami di pensieri t’arriveranno,
ti porteranno di destra e ti spingeranno a manca.
Questo corpo è una locanda, o giovine,
ogni mattina giunge correndo un nuovo ospite.
Attento, non dire: “Questo mi resterà al collo”,
che anche adesso potrebbe tornare al Nulla.
Qualunque cosa giunga dal Mondo Invisibile,
è un ospite del tuo cuore, trattalo bene.”
Maulana Jalal ad-Din Rumi
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“Nella generosità e nell’aiuto degli altri sii come un fiume.
Nella compassione e nella grazie sii come il sole.
Nel nascondere le mancanze altrui sii come la notte.
Nell’ira e nella furia sii come la morte.
Nella modestia e nell’umiltà sii come la terra.
Nella tolleranza sii come il mare.
Esisti come sei oppure sii come appari.”
Maulana Jalal ad-Din Rumi
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Lo specchio
“Non hai idea
di quanto sia stato difficile
trovare un dono
da portarTi.
Nulla sembrava la cosa giusta.
Che senso ha portare oro
ad una miniera d’oro,
oppure acqua all’Oceano.
Ogni cosa che trovavo,
era come portare spezie
in Oriente.
Non Ti posso donare
il mio cuore
e la mia anima,
perché sono già Tue.
Così, Ti ho portato
uno specchio.
Guardati
e ricordami.”
Maulana Jalāl al-Dīn Moḥammad Rūmī, “Lo specchio”
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L’amore è considerato
“L’amore è sconsiderato, non così la ragione.
La ragione cerca il proprio vantaggio.
L’amore è impetuoso, brucia sé stesso, indomito.
Pure in mezzo al dolore,
l’amore avanza come una macina;
dura la sua superficie, procede diritto.
Morto all’egoismo,
rischia tutto senza chiedere niente.
Può giocarsi e perdere ogni dono elargito da Dio.
Senza motivo, Dio ci diede l’essere,
senza motivo rendiglielo.
Mettere in gioco se stessi e perdersi
è al di là di qualunque religione.
La religione cerca grazie e favori,
ma coloro che li rischiano e li perdono
sono i favoriti di Dio:
non mettono Dio alla prova
né bussano alla porta di guadagno e perdita.”
Maulana Jalāl al-Dīn Moḥammad Rūmī, “L’amore è sconsiderato”
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Quando un uomo e una donna diventano uno
“Ho coperto i miei occhi
con la polvere della tristezza,
finché entrambi furono un mare colmo di perle.
Tutte le lacrime che noi creature versiamo per lui
non sono lacrime, come pensano molti, ma perle…
Mi lamento dell’anima con l’anima,
ma non per lamentarmi: dico solo le cose come stanno.
Il cuore mi dice che è angosciato per lui
ma io non posso che ridere di questi torti immaginari.
Sii giusta, tu che sei la gloria del giusto.
Tu, anima, libera dal “noi” e dall’ “io”,
spirito sottile in ogni uomo e donna.
Quando un uomo e una donna diventano uno,
quell’uno sei tu.
E quando quell’uno è cancellato, tu sei.
Dove sono questo “noi” e questo “io”?
A lato dell’amato.
Tu hai fatto questo “noi” e questo “io”
perché tu potessi giocare
al gioco del corteggiamento con te stesso,
affinché tutti i “tu” e gli “io” diventino un’anima sola
e infine anneghino nell’amato.
Tutto ciò è vero. Vieni!
Tu che sei la parola creatrice: Sii.
Tu, al di là di qualunque descrizione.
E’ possibile per l’occhio fisico vederti?
Può il pensiero comprendere il tuo riso o la tua pena?
Dimmi, è possibile vederti?
Soltanto di cose in prestito vive questo cuore.
Il giardino d’amore è infinitamente verde
e dà molti frutti oltre alla gioia e al dolore.
L’amore è al di là di entrambe le condizioni.
Senza primavera, senza autunno, è sempre nuovo.”
Maulana Jalāl al-Dīn Moḥammad Rūmī, “Quando un uomo e una donna diventano uno”
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Il giorno della morte
“Quando il giorno della morte, si muoverà la mia bara,
non pensare che il cuore mio sia rimasto nel mondo.
Non piangere per me, non dire “Ahimè! Ahimè!”
Cadresti nella rete del diavolo, ahimè, allora!
Quando vedrai il mio feretro non dire: “È partito lontano!”
È proprio quel giorno, per me, giorno d’unione e d’incontro!
E quando mi deporrai nella tomba non dire: “Addio, addio!”
Perchè la tomba è un velo che cela l’eterna comunione col cielo.
Hai visto lo sprofondamento, contempla la resurrezione:
reca forse danno, il tramonto al sole e alla luna?
A te sembra tramonto, mentre invece è aurora;
la tomba sembra un carcere ma è, all’anima, liberazione.
Qual seme mai sprofondò in seno alla terra che non germinò poi?
Perchè questo dubbio, allora, per quel seme che è l’uomo?
Qual secchio scese nel pozzo che non tornò pieno d’acqua freschissima?
Perchè dunque il Giuseppe dell’anima avrebbe paura del pozzo?
Chiudi la bocca da questa parte e riaprila dall’altra parte del cosmo,
chè il suo canto trionfale risuoni alto nell’Oltrespazio!”
Maulana Jalāl al-Dīn Moḥammad Rūmī
*****
“Sono pulviscolo in un raggio di sole.
Sono la luce del sole rotondo.
Riposati, dico al pulviscolo.
E al sole… Continua a muoverti.
Sono la nebbia del mattino
e il respiro della sera.
Sono il vento che accarezza un bosco
e la schiuma che va sulla scogliera.
Un albero,
un timone,
una chiglia e
un timoniere
e sono pure la barriera corallina
che li affonda.
Un altro albero
e un pappagallo ammaestrato
sui suoi rami.
Silenzio, pensiero e voce.
L’aria musicale
che diffonde un flauto,
la scintilla di una pietra,
la luce intermittente
del metallo.
Una candela
e la falena impazzita
che le gira intorno.
Una rosa,
e l’usignolo
che si perde nel suo odore.
Sono ogni genere di essere,
la galassia che ruota,
l’intelligenza dell’evoluzione,
chi viene su con l’onda,
e chi sparisce.
Quello che c’è
e quello che non c’è.
Tu che conosci Jalal Ad Din,
Tu, l’Uno nel Tutto,
dimmi chi sono io.
Dimmi che sono Te.”
Maulana Jalāl al-Dīn Moḥammad Rūmī, “Dimmi che sono te”
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“Che cosa offende l’anima?
Il vivere senza gustare
l’acqua della sua stessa essenza.
La gente si concentra sulla morte e
su questa materia terrestre.
E dubita dell’acqua spirituale.
Quei dubbi possono svanire!
Usa la notte per risvegliare la tua chiarezza.
Il buio e l’acqua della vita sono amanti.
Lascia che veglino insieme.
Quando i mercanti mangiano i loro grassi pasti
E dormono i loro sonni di piombo, noi ladri nella notte ci mettiamo al
lavoro.”
Maulana Jalāl al-Dīn Moḥammad Rūmī, da “Masnavi”
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Io non sono
“Che cosa farò, musulmani?
Non mi riconosco più…..
Io non sono né cristiano né ebreo,
né magio né musulmano.
Io non sono dell’Est né dell’Ovest,
né della terra né del mare.
Io non provengo dalla miniera della natura
né dalle stelle orbitanti.
Io non sono della terra o dell’acqua,
del vento o del fuoco.
Io non sono dell’empireo
né della polvere su questo tappeto.
Io non sono del profondo né dell’oltre.
io non sono dell’India o della Cina,
di Bulghar o di Saqsin.
Io non sono del regno dell’Iraq
né della terra del Khorasan.
Io non sono di questo mondo né dell’altro,
non del cielo né del purgatorio.
Il mio luogo è il senza luogo,
la mia traccia è la non traccia.
Non è il corpo e non è l’anima,
perché appartengo all’anima del mio amore.
Ho riposto la dualità
e visto i due mondi come uno.
Uno io cerco, Uno conosco.
Uno io vedo, Uno chiamo.
Egli è il Primo, egli è l’Ultimo.
Egli è l’Esterno, egli è l’Interno.
Non conosco che Hhuu, nient’altro che lui.
Ebbro della coppa d’amore,
i due mondi mi scivolano dalle mani.
Non mi occupo di nient’altro
che divertimenti e bere forte.
Se una volta nella vita ho trascorso un instante senza te,
mi pento della mia vita da quel momento in poi.
Se una volta in questo mondo
otterrò un istante con te,
mi metterò i due mondi sotto i piedi
e danzerò eternamente di gioia.
Oh Shams di Tabriz, sono così ebbro in
questo mondo
che salvo la baldoria e l’ebbrezza
non ho storie da raccontare.”
Maulana Jalāl al-Dīn Moḥammad Rūmī, da “Io non sono”
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Canto del ney
“Ascolta il ney , com’esso narra la sua storia,
com’esso triste lamenta la separazione:
Da quando mi strapparono dal canneto,
ha fatto piangere uomini e donne il mio dolce suono!
Un cuore voglio, un cuore dilaniato dal distacco dall’Amico,
che possa spiegargli la passione del desiderio d’Amore;
Perché chiunque rimanga lungi dall’Origine sua,
sempre ricerca il tempo in cui vi era unito.
Io in ogni assemblea ho pianto le mie note gementi
compagno sempre degli infelici e dei felici.
E tutti si illusero, ahimè, d’essermi amici,
e nessuno cercò nel mio cuore il segreto più profondo.
Eppure il segreto mio non è lontano, no, dal mio gemito:
sono gli occhi e gli orecchi che quella Luce non hanno!
Non è velato il corpo dall’anima, non è velata l’anima dal corpo:
pure l’anima a nessuno è permesso di vederla.
Fuoco è questo grido del ney, non vento;
e chi non l’ha, questo fuoco, ben merita di dissolversi in nulla!
E’il fuoco d’Amore ch’è caduto nel ney,
è il fervore d’Amore che ha invaso il vino (mey ).
Il ney è compagno fedele di chi fu strappato a un Amico;
ancora ci straziano il cuore le sue melodie.
Chi vide mai come il ney contravveleno e veleno?
Chi come il ney mai vide un confidente e un’amante?
Il ney ci narra d’un sentiero tutto rosso di sangue,
ci racconta le storie dell’amor di Majnun:
Solo a chi è fuori dai sensi questo senso ascoso è confidato
la lingua non ha altri clienti che l’orecchio.
Nel dolore, importuni ci furono i giorni,
i giorni presero per mano tormenti di fuoco;
Se i nostri giorni passarono, dì: Non li temo!
Ma Tu, Tu non passare via da Noi, Tu che sei di tutti il più puro!
Ma lo stato di chi è maturo nessun acerbo comprende;
breve sia dunque il mio dire. Addio!”
Maulana Jalāl al-Dīn Moḥammad Rūmī
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Se il Cielo non fosse innamorato
“Se il Cielo non fosse innamorato
il suo seno non sarebbe dolce.
Se il Sole non fosse innamorato
il suo volto non brillerebbe.
Se la Terra e le montagne
non fossero innamorate
nessuna pianta germoglierebbe
dal loro cuore.
Se il Mare non conoscesse l’amore
Se ne starebbe immobile
da qualche parte.
Se il cielo, le montagne, i fiumi e
ogni altra cosa nell’universo fossero
egoisti e avidi come l’uomo e come
lui cercassero di conquistare e accumulare
cose per sé, l’universo non funzionerebbe.”
Maulana Jalāl al-Dīn Moḥammad Rūmī
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La sofferenza
“Vidi la sofferenza che bevevo una coppa
di dolore e gridai:
“E’ dolce, non è vero?”
“Mi hai preso in castagna”
rispose la sofferenza,
“e mi hai rovinato la piazza.
Come farò a vendere dolore
se si viene a sapere
che è una benedizione?”
Maulana Jalāl al-Dīn Moḥammad Rūmī
*****
Il fuoco dell’amore divino
Ho bisogno d’un amante che,
ogni qual volta si levi,
produca finimondi di fuoco
da ogni parte del mondo!
Voglio un cuore come inferno
che soffochi il fuoco dell’inferno
sconvolga duecento mari
e non rifugga dall’onde!
Un Amante che avvolga i cieli
come lini attorno alla mano
e appenda, come lampadario,
il Cero dell’Eternità, entri in lotta come un leone,
valente come Leviathan,
non lasci nulla che se stesso,
e con se stesso anche combatta,
e, strappati con la sua luce i settecento veli del cuore,
dal suo trono eccelso scenda
il grido di richiamo sul mondo;
e, quando, dal settimo mare si volgerà
ai monti Qàf misteriosi da quell’oceano lontano spanda
perle in seno alla polvere!
Maulana Jalāl al-Dīn Moḥammad Rūmī
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“C’è una dolcezza nascosta
in uno stomaco vuoto.
Noi siamo liuti, niente di più,niente di meno.
Se la cassa di risonanza
è piena di qualunque cosa, niente musica.
Se il cervello e la pancia sono purificati
dall’ardere del digiuno, ogni momento
una nuova canzone sale da questo fuoco.
La nebbia si dirada, e una nuova energia
ti fa salire di corsa
i gradini di fronte a te.
Sii più vuoto e grida come gridano gli strumenti di canna.
Più vuoto, scrivi segreti con la penna di canna.
Quando ti sei rimpinzato di cibo e bevande,
un’orribile statua di metallo siede dove dovrebbe sedere il tuo spirito.
Quando digiuni,
buone abitudini si raccolgono come amici
che vogliono aiutarti.
Il digiuno è l’anello di Salomone.
Non darlo a qualche illusione e non perdere potere,
ma anche se, anche se hai perso tutta la volontà e il controllo, loro tornano quando digiuni, come soldati che appaiono dal terreno, e stendardi volano sopra di loro. Una tavola discende sulle tua tenda, la tavola di Gesù. Aspettati di vederla, quando digiuni, questa tavola imbandita di altro cibo, migliore del brodo di cavoli.”
Maulana Jalāl al-Dīn Moḥammad Rūmī
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“Cos’è il veleno?
Tutto ciò che va oltre ciò di cui abbiamo bisogno è veleno. Può essere potere, pigrizia, cibo, ego, ambizione, paura, rabbia, o qualsiasi altra cosa …
Cos’è la paura?
La non accettazione dell’incertezza. Se accettiamo l’incertezza, diventa un’avventura.
Cos’è l’invidia?
La non accettazione della beatitudine nell’altro. Se l’accettiamo, diventa ispirazione.
Cos’è la rabbia?
La non accettazione di ciò che è al di fuori del nostro controllo. Se l’accettiamo, diventa tolleranza.
Cos’è l’odio?
La non accettazione delle persone così come sono. Se le accettiamo incondizionatamente, allora diventa amore.
Cos’è la maturità spirituale?
È quando smettiamo di provare a cambiare gli altri e ci concentriamo sul cambiare noi stessi.
È quando accettiamo le persone così come sono.
È quando capiamo che tutti hanno successo secondo la loro prospettiva.
È quando impariamo a lasciar andare.
È quando siamo in grado di non avere aspettative in una relazione, e diamo solo per il piacere di dare.
È quando capiamo che ciò che facciamo, lo facciamo per la nostra stessa pace.
È quando perdiamo la necessità di mostrare al mondo quanto siamo intelligenti.
È quando smettiamo di cercare l’approvazione degli altri.
È quando smettiamo di paragonarci agli altri.
È quando siamo in pace con noi stessi.
La maturità spirituale è quando siamo in grado di distinguere tra bisogno e volere, e siamo in grado di lasciar andare questa volontà.
La maturità spirituale si ottiene quando smettiamo di cercare la felicità nelle cose materiali.”